UCCIDERE UN RE, UN PRESIDENTE, UN SIMBOLO DEL POTERE

DI GIOVANNI PUNZO

 

L’attentato in Giappone soltanto stretta attualità rispetto alla storia. Dalla teorizzazione della necessità di combattere il monarca, formulata agli inizi del XVII secolo nel clima delle guerre di religione, fino ai delitti politici più recenti per motivi ideologici. Assai prima che a Sarajevo fosse ucciso l’arciduca Francesco Ferdinando cambiando la storia del Novecento, ci furono decine di attentati.

Le guerra di religione e una prima teoria

Nel corso dell’antichità e del Medioevo non mancarono assassini per eliminare sovrani o altri potenti, né – sul versante opposto – sovrani o potenti si astennero sempre dal commettere delitti per sopprimere nemici importanti o anche semplici oppositori. Senza per questo fondare la sua teoria politica apertamente sul crimine, Machiavelli tuttavia si espresse con estrema spregiudicatezza su determinati comportamenti estremi, ma a suo parere necessari. Mancava però un fondamento teorico che desse una legittimità a questi atti e, nel clima delle guerre di religione originato in Europa dalla riforma protestante, alcuni pensatori sostennero la legittimità di combattere il sovrano qualora avesse avversato o impedito la pratica religiosa.
Primo a coniare l’espressione ‘monarcomaco’ per definire ‘colui che combatte il sovrano’ fu il filosofo scozzese Willian Barclay nel trattato «De regno et regali potestate» pubblicato nel 1600: del resto nel 1589 il monaco cattolico Jacques Clément aveva pugnalato Enrico III di Francia per vendicare la morte di Enrico di Guisa, capo della fazione cattolica, e nel 1610 François Ravaillac uccise Enrico IV di Francia, ex protestante che aveva abiurato convertendosi al cattolicesimo, temendo che scatenasse una guerra contro le nazioni cattoliche.
Altro celebre delitto del tempo fu quello di Balthasar Gérard, cattolico francese sostenitore del re di Spagna Filippo II, che nel 1584 sparò al protestante Guglielmo d’Orange diventando anche così il primo nella storia dei delitti politici ad usare un’arma da fuoco.

Un re riformatore e un singolare attentato

Mentre in Francia la rivoluzione sconvolgeva il paese e l’Europa, in Svezia nel 1792 avvenne un regicidio che a distanza di secoli ha lasciato un’impronta tuttora viva nella memoria del paese scandinavo: re Gustavo III di Svezia il 16 marzo fu ferito da un colpo di pistola sparatogli alle spalle da Jacob Johan Anckarström, ex ufficiale della guardia reale che nutriva una forte avversione nei confronti del sovrano tanto che, accusato di aver diffuso maldicenze sul re, era stato cacciato dall’esercito l’anno precedente.
Gustavo III, come molti sovrani del suo tempo era un convinto illuminista, protettore delle arti e della cultura, ed aveva tentato di attuare profonde riforme, ma senza successo. In politica estera inoltre aveva appena ottenuto un discreto successo riuscendo a contenere l’espansione russa sul Baltico. Per questo la sua azione politica, oscillante tra l’assolutismo e le riforme, aveva suscitato critiche sia tra i conservatori che tra i progressisti. Le circostanze in cui avvenne l’attentato furono per altro piuttosto singolari e produssero un’eco in varie opere letterarie: re Gustavo infatti si trovava ad un ballo in maschera, senza aver dato peso alla minaccia che incombeva – aveva ricevuto poco prima una lettera ‘anonima’ dall’assassino –, né esisteva in quel momento una particolare tensione nei suoi confronti. La ferita in sé non fu nemmeno considerata mortale, ma a causa di una grave infezione il re morì il 29 aprile dopo aver perso conoscenza.

Gli anarchici ottocenteschi, terrore dei Re

L’ultimo ventennio del XIX secolo fu caratterizzato da numerosi attentati anarchici rivolti principalmente a sovrani europei. A compierli vi furono tra gli altri molti anarchici italiani. Nel 1881 a Pietroburgo morì in seguito a un attentato dinamitardo lo zar Alessandro II. Nel giugno 1894 Sante Caserio uccise con una pugnalata il presidente della Repubblica francese Sadi Carnot e nell’estate 1897 Michele Angiolillo sparò tre colpi di rivoltella al presidente del Consiglio spagnolo Antonio Cánovas del Castillo. Ma la morte che più di tutte colpì l’opinione pubblica internazionale fu quella dell’imperatrice d’Austria Elisabetta di Wittelsbach il 10 settembre 1898 a Ginevra, con una lima usata come pugnale da Luigi Lucheni.
Lo stesso re d’Italia Umberto I, prima di cadere sotto i colpi di Gaetano Bresci a Monza il 29 luglio 1900, aveva già subito due attentati: nel 1878 a Napoli da parte di Giovanni Passannante e nel 1897 a Roma da parte di Pietro Acciarito. Il re di Spagna Alfonso XII subì due tentativi nel 1878 e nel 1879. Anche in Germania, nonostante l’attenta sorveglianza della polizia, l’imperatore Guglielmo I dovette subire due tentativi nello stesso anno: il primo l’11 maggio a Berlino da parte dell’anarchico Max Hödel dal quale uscì praticamente indenne e il secondo, dal quale uscì leggermente ferito, da parte di un altro anarchico, Karl Noobiling, che morì in seguito al tentativo di suicidio per evitare la cattura.

L’agitato Sud America

Una parte del mondo in cui invece si sono verificati numerosissimi assassini di capi di stato è l’America Latina. Terminato il processo di decolonizzazione nella prima metà dell’Ottocento, la vita delle nuove repubbliche fu assai tormentata: nel 1868 in Uruguay fu ucciso in circostanze misteriose dopo l’arresto l’ex presidente Bernardo Provencio Berro, accusato della morte del suo rivale politico Venancio Flores; nel 1872 a Lima fu assassinato José Balta Y Montero da seguaci del generale Gutiérrez che aveva ordito un colpo di stato contro di lui; nel 1875, in Ecuador, fu assassinato Gabriel Garcia Moreno, conservatore e legato alle gerarchie della chiesa cattolica; nel 1897 fu ucciso il capo dello stato uruguayano Juan Idiarte Borda mentre, dopo una funzione religiosa, faceva ritorno dalla cattedrale di Montevideo al palazzo presidenziale; nel 1920, dopo la rivoluzione messicana, della quale era stato uno dei protagonisti, fu assassinato Venustiano Carranza nel corso della controrivoluzione guidata dal generale Obregon; nel 1933, per mano di un estremista, fu colpito a morte il presidente peruviano Luis Miguel Sanchez Cerro; il dittatore di Santo Domingo Rafael Leonidas Trujillo morì per un colpo di fucile sparato da un cecchino mai identificato nel 1961.

“Ultimo in ordine di tempo a perire durante un colpo di stato fu infine Salvador Allende, presidente del Cile, nel settembre 1973: nonostante la versione dei golpisti, ad uccidere il presidente, sembra ormai accertato che sia stato un colpo di pistola sparato quando era già stato ferito”.

 

Di Giovanni Punzo

Da:

10 Luglio 2022

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GIOVANNI PUNZO

Giovanni Punzo di mestiere dovrebbe aggiustare ciò che scrivono gli altri -fa l’editor- ma ha preso il vizio. Scrive di storia militare, altro ‘contagio’ per aver fatto l’ufficiale degli alpini. Da lui le guerre ‘dei nonni’ all’origine di quelle di oggi.