UN POLTRONARO PICCOLO PICCOLO

DI GIANCARLO SELMI

 

Il discorso lo ha enunciato Di Maio, ma mentre parlava, le varie retoriche delle quali era intriso il pistolotto (quello poi è stato), portavano alla mente molte cose. Da Santa Maria Goretti al più triste Martinazzoli di tutti i tempi. Poi, per me, conati di vomito alternati a risate, entrambe le cose senza freno.
Toni da Martinazzoli piangente, contenuti da Draghiano fervente. Renzi non avrebbe potuto fare meglio, forse neppure Calenda. Ma forse è diventata quella la sua area politica. Non potevamo aspettarci di più, si sapeva, quello è il soggetto, però è stato attento a dare di sé l’immagine di quello disposto a qualunque sacrificio, pur “di farci stare, tutti, dalla parte giusta”, la sua.
Ha accusato i suoi vecchi amici, i suoi compagni di viaggio, di cose assurde: “indeboliscono e mettono a rischio la sicurezza ed il futuro del Paese”; l’incapacità di fare una scelta di campo, con una velata, ma non tanto, accusa di essere putiniani. Ohibò.
Questa è la correttezza di questo rivoltante Churchill del caffè Borghetti portato dall’ingenuità e la passione di gente che voleva cambiare il mondo, a calcare palcoscenici che non avrebbe mai sognato neppure di avvicinare. Gli applausi dei personaggi eterodiretti, presenti in sala, poveracci di spirito e di mente, miracolati con un seggio in Parlamento, ha prodotto i conati di vomito.
Non sono mancate le risate.
Il passaggio sui sacrifici, sulle rinunce che sarebbe disposto a fare per il bene del Paese; il richiamo al rifiuto dell’interesse personale che mai può costituire motivazione di decisioni; due cose che, dette da lui, hanno costituito uno dei più fulgidi esempi di commedia dell’arte e di faccia uguale uguale alla parte finale dell’intestino.
Infine l’auto incoronazione a “nuovo”, contro un Movimento 5 Stelle che resta vecchio. Il bue che chiama cornuto l’asino. La Russa che chiama fascista Melenchon. Un neodemocristiano innamorato di Draghi e di Giorgetti che si incorona “nuovo”. Non ho mai riso così tanto nella mia vita.
Insomma, un discorso di basso livello (e non poteva essere diversamente), con varie ripetizioni dello stesso concetto (europeismo ed atlantismo ripetuti all’esasperazione, ma non solo); una vera e propria tiritera sulla guerra, sulla necessità di aiutare l’Ucraina, che proprio per quello, la pochezza delle argomentazioni, è sembrata un’evidente manipolazione, la coperta ad un pretesto per chiudere l’esperienza e consolidare un vero e proprio tradimento per il suo gruppo politico e per l’elettorato.
Un’operazione immaginata e pianificata da tempo, al fine di prolungare la sua carriera politica, ottenere privilegi e poltrone.
Una brutta pagina di una brutta, fetida politica, con un orrendo e inesorabilmente piccolo protagonista.
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