UCRAINA DOPO 100 GIORNI DI GUERRA

DI GIOACCHINO MUSUMECI

 

Repubblica: «Il presidente Zelensky, dopo 100 giorni, fa il bilancio e ammette che tra Lugansk e Donetsk il suo esercito viene decimato. “Le forze della Federazione – dice Zelensky – controllano il 20 per cento del Paese. Hanno distrutto quasi l’intero Donbass ucraino, che era uno dei centri industriali più potenti d’Europa”. Le decine di miniere di carbone e gli impianti petrol-chimici che ne hanno fatto la fortuna.
Al di là del fatto che l’andamento della guerra era prevedibilissimo, il presidente Zelensky dovrà rispondere delle ragioni che l’hanno spinto a NON PREVENIRE una guerra contro Mosca.

L’ho chiesto troppe volte: può un leader lucido e lungimirante affidare il destino della propria nazione a terzi? Zelensky ha mai pensato a quanto è debole e ricattabile la sua autorità costruita nel declino del proprio mandato in tre mesi di veline delle istituzioni di Kiev?

Si è parlato di Russi disorganizzati ma la gestione della guerra di Kiev sembra quella degli scappati di casa. Mendicanti delle armi ridotti in macerie dopo aver rifiutato, sotto suggestione Usa/Ue, di considerare la neutralità militare, fatto che avrebbe risparmiato le carneficine di cui Zelensky si dispiace oggi. L’Ucraina oltre pagare le strategie politiche Russe sfociate nell’invasione, paga salatissimo un presidente troppo impreparato e volatile, oltre miopia e improvvisazione occidentali.

Il Donbass, secondo il presidente ucraino, è uno dei centri industriali più potenti d’Europa, ma guardiamo i fatti: il Pil ucraino è inferiore ai 160 miliardi di dollari. I nostri fondi recovery valgono ben più dell’intero Pil nazionale ucraino. La sola Lombardia vanta un Pil di quasi 400 miliardi di €, Più del doppio di quello Ucraino. A quanto ammonta l’immensa ricchezza del Donbass se l’Ucraina produce meno di una sola regione Italiana? La risposta è contenuta nella corruzione spaventosa che dilania il paese di Zelensky in cui l’enorme potere economico/ politico di pochi pericolosi oligarchi costringe a una condizione di povertà surreale.  Lo scenario è sovrapponibile a quello delle zone italiane controllate dalle mafie: accordate con lo Stato impediscono riforme e sviluppo nelle aree depresse del nostro paese.

Se una forza politica offre strumenti per liberare il popolo dalle maglie dell’oppressione (Rdc,Salario minimo che sottraggono risorse e manodopera agli sfruttatori, siano essi legalmente riconosciuti o no) scatta la cosiddetta macchina del fango tesa a distruggere l’idea e il suo portatore.

In Ucraina la dinamica è più o meno la stessa, gli oligarchi dettano le linee politiche con metodi tutt’altro che democratici. Il presidente Zelensky sarà finito non appena proverà a difendere gli interessi del proprio popolo, ben diversi da quelli di Mosca e Washington o da quelli del FMI e Bruxelles; ciascuno di questi si arroga il diritto di decidere il destino di un popolo appositamente diviso.

Usa e Ue, ma non di meno Mosca, hanno ben chiaro che le condizioni di sopra permettono la sovrapposizione di poteri che in accordo coi corrotti locali, garantiranno investimenti miliardari a costi irrisori.

Chi viene ingannato è il popolo ucraino, mandato al macello per ragioni ben diverse da quelle propagandate nei media.

La logica del profitto naturalmente è la medesima seguita dall’autocrate Putin, disposto a tutto pur di vincere la contesa con l’occidente. Chi non vorrebbe aprire succursali e investire in un eden le cui risorse si possono coltivare, estrarre, trasformare ed esportare con manodopera da pretese ridicole. Perché mai lasciare tutto questo a Mosca se è bastato ventilare un ingresso in Nato per scatenare una guerra.

Quanto vediamo noi, morti compresi, per chi tesse le fila includendo Mario Draghi, è coreografia.

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