SRI LANKA, COME LA CRISI ECONOMICA PUO’ FARE ESPLODERE UN PAESE

DI ENNIO REMONDINO

 

Era crisi economica e inevitabilmente  è diventata anche politica, contro i despoti al potere ma soprattutto contro povertà e fame. Proteste violente e  dimissioni del primo ministro, e forse non basta ancora. Un preoccupante anticipo di ciò che sta minacciando una miriade di Paesi con governi corrotti o comunque precari, ora sull’orlo della crisi economica, colpiti prima dalla  pandemia e ora della guerra del grano Russia-Ucraina.

La guerra della fame

Decine di morti e centinaia di feriti negli scontri con le forze dell’ordine. Dopo settimane di proteste sfociate nelle violenze del 9 maggio, in Sri Lanka gli agenti sono stati autorizzati a sparare sulla folla. Decine di morti e centinaia di feriti negli scontri con le forze dell’ordine. L’ondata di rabbia contro il presidente Gotabaya Rajapaksa e il fratello e primo ministro Mahinda,  dinastia politica che domina il paese da decenni,  innescata il mese scorso dalla grave crisi economica che con la crisi degli approvvigionamenti  anche alimentari che sta colpendo il Paese

FMI per evitare la bancarotta

Il presidente sta cercando di formare un governo ad interim e di evitare la bancarotta con l’aiuto del Fondo monetario internazionale. Ma non è cosa né facile, né scontata. Proteste senza precedenti nella storia del paese, così è come senza precedenti la crisi economica che le ha innescate, la peggiore dal 1948, l’anno in cui lo Sri Lanka ottenne l’indipendenza dal Regno Unito, segnala il Post. «È una crisi che sta aggravando gravi carenze di cibo, di carburante e di medicine; il governo non solo è accusato dai manifestanti di non averla saputa gestire, ma anche di aver contribuito al suo aggravamento con anni di corruzione, scelte e investimenti sbagliati, politiche populiste e fallimentari».

Le diverse religioni  coi ribelli

«L’eccezionalità delle proteste è stata data anzitutto dalla partecipazione di diversi gruppi religiosi (buddisti, musulmani, induisti e cattolici), una cosa piuttosto rara in un paese in cui le profonde divisioni tra comunità hanno portato spesso a violenti conflitti interni». Nell’ultimo mese, molti di questi gruppi si sono uniti alle proteste chiedendo tutti la stessa cosa: le dimissioni del presidente e del primo ministro. I due fanno parte di una delle dinastie politiche più potenti dello Sri Lanka, che conta sette fratelli che hanno tutti avuto importanti ruoli politici o amministrativi, e che sono stati in più occasioni accusati di corruzione e nepotismo.

Gli inganni sul fronte della crisi

Nelle ultime settimane il governo ha tentato in più occasioni di minimizzare la gravità della crisi in corso, senza successo. Il mese scorso la Banca centrale dello Sri Lanka aveva dichiarato default e annunciato la sospensione del pagamento di parte del proprio debito ai creditori internazionali: un debito di 50 miliardi di dollari, più della metà del PIL, costituito soprattutto da titoli di stato, con Cina e Giappone come principali creditori.

Inflazione e costo della vita

In Sri Lanka, inoltre, il tasso d’inflazione annuale (cioè la crescita dei prezzi) ha raggiunto il 21 per cento, diventando il più alto della regione dell’Asia Pacifico. Per avere un’idea della cifra, basti pensare che la Banca Centrale Europea raccomanda di mantenere il tasso d’inflazione entro il 2 per cento.

Beni essenziali inarrivabili

Il risultato è stato un’impennata dei prezzi dei beni essenziali come riso e latte, una sempre maggiore mancanza di cibo e beni di prima necessità così come di carburante e medicine. Ci sono state anche estese interruzioni della corrente, fino a 13 ore al giorno, e si è arrivati a sospendere le mense scolastiche per mancanza di cibo e ad annullare gli esami per milioni di studenti perché nel paese era finita la carta e il governo non aveva i soldi per garantire le importazioni. L’Economist scrive che quelle esistenti non bastano nemmeno a garantire una giornata intera di importazioni.

La condizioni locali sulla crisi planetaria

La crisi economica dello Sri Lanka ha radici piuttosto profonde: c’entrano leadership corrotte e fallimentari già citate, a cui si sono aggiunti negli ultimi due anni la pandemia, un aumento dei prezzi di materie prime ed energia conseguenze della guerra in Ucraina, che in Sri Lanka riguardano soprattutto i prezzi di carburante e grano. Lo Sri Lanka «una classica economia a doppio deficit», come disse nel 2019 l’Asian Development Bank. Nel concreto, significa che il paese è diventato sempre più povero, incapace di produrre beni e servizi commerciabili e sempre più dipendente da prestiti esteri.

Follie coi prestiti della Cina

Secondo un rapporto dell’Università di Harvard di qualche anno fa, diversi investimenti sbagliati, in strutture o progetti che non hanno generato alcun ritorno. I casi più citati sono quelli del porto di Hambantota, e nella stessa zona dell’aeroporto internazionale Mattala Rajapaksa, intitolato alla famiglia Rajapaksa e ora noto come «l’aeroporto più vuoto del mondo». Sia il porto che l’aeroporto sono stati costruiti grazie a prestiti della Cina, che il governo non è stato in grado di ripagare dato che nessuno dei due progetti ha generato entrate sufficienti. E così il paese si è ulteriormente indebitato.

Diritti umani con lo sconto

All’impoverimento dello Sri Lanka ha contribuito inoltre la pessima fama del governo sul rispetto dei diritti umani, come si è visto soprattutto durante la lunga guerra civile combattuta contro i separatisti dell’organizzazione militare Tigri Tamil, che l’allora presidente Mahinda Rajapaksa dichiarò vinta nel 2009. Per via delle accuse di crimini di guerra compiuti dal governo, sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti avevano interrotto gli aiuti economici verso il paese.

SOS banca Mondiale

Per far fronte alla crisi, la Banca Mondiale ha deciso di inviare 600 milioni di dollari di aiuti, che arriveranno in momenti diversi e serviranno prima di tutto per comprare medicine, cibo ed energia. Il governo sta cercando di concludere un accordo per altri aiuti col Fondo Monetario Internazionale, che tempo fa aveva definito il debito del paese «insostenibile». E anche l’India, interessata a competere con la Cina, ha promesso di inviare aiuti. Non ci si aspetta, però, che saranno interventi risolutivi.

E il vasto mondo dei Paesi africani e asiatici con l’acqua alla gola per l’impennata dei prezzi dell’energia e gli introvabi rifornimenti alimentari, tremano per ciò che potrebbe accadere anche in casa loro

La dinastia politica Rajapaksa, il presidente e il fratello primo ministro.

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