AI MARGINI DELLA GUERRA, INTEGRALISMI E INTERESSI TRA POLONIA E GERMANIA

DI ENNIO REMONDINO

 

La Polonia migliore, quella dei cittadini e della gente comune che accoglie e sostiene oltre due milioni di profughi ucraini, ma gli integralismi nazional-bigotti filo governativi distribuiscono volantini alle donne ucraine: «L’aborto è una minaccia alla pace».
Embargo sul gas russo, no di aziende e sindacati tedeschi. Blocco della produzione e crollo dell’occupazione. Sindacati e Confindustria riassumono senza mezzi termini il devastante costo economico e sociale dello stop immediato al gas russo per la Germania.

Nei drammi delle donne ucraine, “Inferno aborto”

«Benvenute in Polonia. Ong, amministrazioni locali e comuni cittadini continuano a formare gli ingranaggi di una straordinaria macchina della solidarietà che ha permesso di gestire l’arrivo o, in alcuni casi, il transito, di almeno 2.8 milioni di ucraini dall’inizio dell’invasione russa», segnala Giuseppe Sedia sul Manifesto.

Colombe e avvoltoi

Dal mese scorso i volontari dalla fondazione antiabortista «Vita e Famiglia» provano a fare proseliti tra le profughe al loro ingresso in Polonia. Volantini choc alle donne ucraine: «L’aborto è una minaccia alla pace», l’insensato slogan per chi scappa dalla guerra vera. Volantini «informativi» bilingue, polacco e ucraino, preparati dall’organizzazione pro-life di Kaja Godek, con tanto di citazione di Madre Teresa di Calcutta e l’immagine di un feto smembrato, sono una della prime cose a finire tra le mani delle donne ucraina al principio della loro avventura oltreconfine.

L’aborto peggio delle guerra?

«La più grande minaccia alla pace è l’aborto. Se alla madre è concesso di uccidere i propri figli, che cosa ci impedisce di farlo a vicenda», si legge nei manifestini che informano delle conseguenze penali delle interruzioni volontarie di gravidanza, quasi del tutto illegali in Polonia, dopo la sentenza choc del Tribunale costituzionale a comando governativo. Tribunale che aveva dichiarato fuorilegge l’aborto terapeutico nell’ottobre 2020. Con la legge che consente di intervenire in due soli casi: quando la gravidanza mette a repentaglio la salute della madre, e in caso di stupro.

La negazione assoluta

«Ma nei materiali distribuiti da ‘Vita e Famiglia’, che da anni spinge per una messa al bando totale dell’aborto, non c’è spazio per questo tipo di informazioni. Mentre continuano a moltiplicarsi le testimonianze di ucraine vittime di violenza sessuale da parte di soldati russi, ha fatto scalpore la settimana scorsa la notizia delle donne stuprate a Bucha e spaventate dall’idea di trasferirsi in uno stato in cui l’aborto è praticamente quasi ineseguibile».

L’Ucraina laica

Un trauma che si aggiunge a quello della guerra per molte ucraine che provengono invece da un paese in cui è da sempre possibile interrompere una gravidanza fino alla dodicesima settimana di gestazione e grazie a contributi pubblici. Addirittura, prima della guerra scatenata dal Cremlino, l’Ucraina, grazie alla sua legislazione liberale in materia, era una delle destinazioni scelte di preferenza dalle polacche per abortire all’estero.

Violenza sessuale

Sullo Statuto di Roma della Corte penale internazionale nel 1998, gli episodi di violenza sessuale in un contesto bellico vengono riconosciuti come crimini internazionali contro l’umanità. Ciò nonostante in Polonia l’aborto continua a essere negato anche alle profughe vittime di stupro. E anche la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata anche a Varsavia, ma dalla quale, la coalizione guidata dalla destra populista di Diritto e giustizia (Pis), ha minacciato più volte il ritiro.
Anita Kucharska-Dziedzic, deputata di Nuova Sinistra (Nowa Lewica): «La legge in Polonia dovrebbe adattarsi alle esigenze dei cittadini e non a quelle di vescovi e politici».

Embargo sul gas russo, no di aziende e sindacati tedeschi

Blocco della produzione e crollo dell’occupazione. Sindacati e Confindustria riassumono senza mezzi termini il devastante costo economico e sociale dello stop immediato al gas russo per la Germania. «Il rapido embargo sulle forniture di Mosca provocherà la deindustrializzazione del nostro Paese» è l’apocalittica previsione congiunta dei presidenti della Federazione sindacale (Dgb), Reiner Hoffmann, e dell’Associazione datori di lavoro (Bda), Rainer Dulger, riferita da Sebastiano Canetta. «Appello a doppia firma ultra-allarmante, all’attenzione della maggioranza politica che sostiene il governo Scholz quanto dell’opposizione pronta a tagliare ciò che rimane del ponte energetico con Putin con mosse perfino più drastiche».

Sanzioni auto inflitte?

«Così concepite, le sanzioni stanno danneggiando maggiormente chi le ha imposte rispetto a chi le subisce» avvertono i rappresentanti delle due categorie più preoccupate per l’insostenibilità materiale della più forte di tutte le ritorsioni economiche contro la Russia. Anche perché «nei prossimi mesi avremo molti problemi da risolvere, e di certo non potremo agire da una posizione di debolezza» precisano Hoffmann e Dulger forti dei dati del ministro dell’Economia, Robert Habeck (Verdi), secondo cui la fine della dipendenza dall’import di Gazprom e Rosfnet «non sarà possibile prima dell’estate 2024».

Scenari da guerra sociale

La minaccia di una spaventosa reazione a catena sintetizzata nella nota di sindacati e imprenditori: «Prima ci sarà il calo della produzione, poi lo stop agli stabilimenti e infine la perdita dei posti di lavoro» a partire dai settori più energivori come siderurgia, chimica e industria dell’auto. Un effetto collaterale micidiale per la tenuta della stessa Bundesrepublik: «In caso di embargo immediato sul gas russo si rischia di rompere la pace sociale» è l’incubo a occhi aperti.

Soluzioni impossibili

Al contrario, il secco No all’embargo immediato del gas di Mosca segnala che la crisi energetica è più capillare del previsto e priva di una vera soluzione. L’ultimo studio di Greenpeace stima in ben 32 miliardi di euro la bolletta del 2022 per i tedeschi (corrispondente a quasi il 60% della spesa militare di Putin), con il costo di petrolio e gas russi passato nell’ultimo anno, rispettivamente, da 11,4 a 14,3 miliardi e da 8,8 a 17,2 miliardi.

Di Ennio Remondino

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