NON SARA’ QUALCHE DOCCIA IN MENO A FERMARE LA GUERRA, E LA CRISI ECONOMICA

DI NICOLETTA AGOSTINO

 

C’è una guerra orribile che fa morti e sfollati, e una crisi economica senza precedenti che potrebbe abbattersi su tutti. Gli appelli a fare dei sacrifici in nome della pace sarebbero alti e nobilissimi e da accogliere senza riserve, se fossero utili.
E invece i sacrifici che si chiedono di fare non solo non sono in nome della pace, ma sono in nome di una guerra che non sappiamo se e quando finirà. Perché se si assume che siamo dentro uno scontro di civiltà, allora questo conflitto si vince o si perde quando una delle due civiltà che si scontrano finisce. Siamo consapevoli che stiamo avallando un conflitto che parte da questo assunto?
Di fronte a questo scenario che è già devastante, e a quelli futuri che si prospettano, tutti incerti e spaventosi, parlare di “qualche rinuncia” rappresenta un insulto alla verità. Nessuno di noi ha il potere di fermare questa guerra “facendo qualche doccia in meno”. Qui non c’è la nostra igiene personale in ballo, non è il nostro refrigerio estivo ad essere a rischio. Ma interi sistemi produttivi che dipendono da quegli approvvigionamenti e che avrebbero un improvviso tracollo, perché il distacco da una dipendenza di quella portata non potrebbe avvenire da un giorno all’altro e senza un piano alternativo, senza contare che altri Paesi sono già pronti a comprare dalla Russia e sostituirci.
Oppure il piano invece c’è, sono già pronte nuove politiche di diversificazione delle fonti, nuove rotte per il gas, siamo preparati per chiudere i rubinetti e optare per l’embargo totale, per smettere di importare ma anche di esportare e vendere materie prime alla Russia. E allora in quel caso i sacrifici si annunciano raccontando che esiste un piano ed è pronto ad arginare i danni di una crisi economica che travolgerà tutti.
Parlare di aria condizionata e di qualche doccia in meno, mentre c’è gente che muore sotto le bombe a pochi chilometri da qui e che continuerà a morire, e poi ce n’è altra, proprio nel nostro Paese che non riesce a pagare una bolletta e chiude già strozzata dalla crisi pandemica, è un errore gravissimo di comunicazione istituzionale, un insulto alla nostra intelligenza, una menzogna scritta male da propaganda di guerra.
Un po’ come quando Berlusconi raccontava ad un Paese praticamente commissariato, che non c’era alcuna crisi e i ristoranti erano pieni. Con la differenza che ora siamo in guerra. E lo siamo tutti.
Un capo di Stato ha il dovere di prepare il suo Paese anche ai sacrifici più duri, parlando con trasparenza e chiarezza. Altrimenti ciò che prepara è solamente il caos e la guerra civile. E l’aria condizionata potrebbe essere l’ultimo dei suoi e dei nostri problemi.
Ci vorrebbe un giornalista con la schiena dritta, in grado di spendere credibilità e onestà intellettuale a nome suo o del giornale che rappresenta, che chiedesse al presidente del consiglio se abbiamo un piano alternativo per non affondare. Se hanno trovato un modo, quei sacrifici, per renderli sostenibili a chi non ha più nulla da sacrificare, per distribuirne il carico su chi invece può reggerlo.
Tra un sondaggio e l’altro per sapere a cosa rinunceremo per primo, se all’aria condizionata o a una messa in piega, possiamo sapere come il governo intende evitare che questi sacrifici affondino dentro la carne viva delle fasce più deboli e impoverite del Paese? Quelle per intenderci che non riescono nemmeno più a curarsi e si ammalano per un ritardo diagnostico dovuto al fatto che non hanno i soldi per fare un esame medico?
Mentre ci prepariamo al sacrificio, penso avremmo il diritto di chiederlo. E di più, di saperlo.