UCRAINA, SI SPARA SULLA LIBERTA’

DI VIRGINIA MURRU

 

Osservare i paesaggi ormai spettrali in Ucraina, significa rischiare di diventare agnostici verso la vita e i suoi più grandi valori, in primis la pace e la fiducia nei confronti dei propri simili.

Già, i propri simili si dice, ma davvero simili non sono coloro che tracciano le loro strade a colpi di kalashnikov dentro i confini altrui.

In quei panorami irreali, quasi lunari, dove la guerra è arrivata come un’apocalisse, le case hanno assunto sembianze di spettri erranti nelle strade deserte, sepolcri a cielo aperto dove le macerie e la polvere rappresentano un essere e un esistere che non c’è più.

Le inquietudini di quelle atmosfere hanno violato norme di quiete e scavato trincee nella paura, il giorno ha infiltrazioni di luce che non illumina, il fumo degli incendi, le vibrazioni e il fischio nell’aria degli ordigni scuotono pareti di edifici precari. Sguardi furtivi si celano dietro finestre che non comunicano, se non solitudine e senso di abbandono al male più avverso.

E poi uno stridere metallico di cingoli, ovvero i tanks con i loro cannoni e lanciafiamme, che solo a vederli ti chiedi quanto valore abbia la vita umana davanti a questi mostri che tutto travolgono con i loro colpi infernali.

E le case, i palazzi, non importa quanto si elevino in altezza, esplodono davanti a queste cariche devastanti, lasciando intorno fumo e deflagrazioni che stordiscono, urla che nessuno può udire in quelle violente percussioni che lacerano, tormentano fra impotenza e aria che non è più aria, ma polvere che sale verso l’alto. Fino a Dio.

Può capitarti d’imbatterti, a Kiev, in zone in apparenza estranee a questo infame conflitto, persone che hanno il passo incerto della circospezione e della paura, come prede che possono essere prese di mira da obiettivi nascosti in quel nulla incombente, dove non c’è più orma di vita e di norma, dove l’unico pensiero è fuggire da quella luce che non protegge.

Non vedi un sorriso, nemmeno a pagarlo oro, le parole sono sassi che fanno male, perché non raccontano vita, ma morte.

Ucraina, dove sei? Dov’è finita l’ordinata e fine bellezza delle tue città operose, dove ti sta portando la follia umana che non conosce l’incommensurabile valore della parola, quale mezzo lecito e legittimo di risoluzione delle controversie..  Ma non esistevano conti in sospeso da riscuotere con la devastazione di un Paese libero e indipendente, e nemmeno una vita valeva questo folle disegno di distruzione.

Quanta sofferenza si è consumata tra fango e macerie, dove il silenzio grida più dei cannoni, invocando quiete, giustizia per tutte quelle vite mancate, per intere famiglie travolte da un deprecabile desiderio di sopraffare.

Il mondo intero aspetta la fine dell’incubo, e osserva i cupi cieli dell’Ucraina sperando che diventino liberi da quel fumo opprimente e dalle lingue di fuoco che divorano ogni sussulto di speranza intorno.

Taceranno le sirene di Kiev, tornerà a battere forte la vita in Ucraina, aspettiamo tutti il Rinascimento di un Paese che non meritava una simile prova, rientreranno come rondini che migrano i rifugiati sparsi ovunque in Europa, e si placherà il cuore inquieto, insano, di chi ha voluto tutto questo per elevare la smania di supremazia e dominio.

Quo vadis?