GUERRA IN UCRAINA. MA I RUSSI CHE C’ENTRANO?

DI VIRGINIA MURRU

 

Siamo occidentali, il colonialismo fa parte della nostra storia, è il peccato originale impresso come  timbro a cartiglio nella nostra identità, e non riguarda solo i primi decenni del Novecento, ma anche i secoli precedenti. Fino al profondo sud degli ultimi due millenni, sì proprio per finire in epoca Romana. Ma i Romani, mentre ampliavano i confini dell’impero, portavano la civiltà ai popoli conquistati, e rispettavano allo stesso tempo la loro, gli usi e le consuetudini, le varie confessioni religiose. Tutta un’altra storia.

Questi sono tempi selvaggi, armati del peggiore arbitrio e risolutezza, il diritto del singolo e di un popolo sono diventati concezioni aberranti, valori che si possono forgiare secondo gli interessi e gli intendimenti di chi li ritiene retaggio esclusivo di pochi.

Tutto accade alla luce di questo pallido sole di marzo, ma è una luce potente per chi è avvezzo a pesare il pensiero in una bilancia obiettiva di ragioni. Insomma, è difficile capire quello che sta accadendo in Ucraina, è come svegliarsi nel cuore della notte con un incubo davanti agli occhi.

Eppure questa è la peggiore realtà che ci si potesse aspettare nel terzo millennio. L’Europa, al di là di ogni retorica, viene da sette decenni di pace, seguiti ad una terribile lezione della storia, un conflitto mondiale che ha inciso su fiumi di sangue il concetto di libertà e di pace.

Del rispetto delle frontiere altrui. Una dura lezione che ha reso sacri questi valori, e l’Europa ne ha poi reso saldi i principi percorrendo una strada di unione e condivisione. Ora, dietro la porta, si ritrova una guerra insidiosissima, ammiccante al terzo conflitto mondiale. Si fa slalom tra richieste di pace e rimandi agli arsenali nucleari, con minacce ben confezionate di parole in cirillico e rimandi allusivi piuttosto espliciti.

Mai si sarebbe potuto presentire una guerra sospesa sul filo dell’assurdo all’interno di uno stato vulnerabile come l’Ucraina, che si è sempre occupata dei fatti suoi, senza ricatti o minacce rivolte ai propri confini.

Quasi all’improvviso questo bellissimo Stato, con la sua storia legata all’ex Unione Sovietica, è stato scaraventato in un girone infernale, dove le immagini tragiche che riportano i media somigliano più a scenari surreali che a realtà.

Sì, perché in Europa si fatica ad accettarne l’eco, e fa male l’impotenza di un soccorso che avrebbe potuto essere risolutivo, ma che in definitiva è interdetto: stare al fianco degli ucraini con un sostegno armato della Nato significa spalancare le porte ad un conflitto dagli esiti imprevedibili.

Lo sappiamo bene che cosa potrebbe accadere quando l’odio è libero di attraversare i confini della coscienza. Semplicemente diventa fuori controllo, e ordigno dopo ordigno si mette in gioco la sopravvivenza del genere umano, giocando a dadi con il demonio. Il nucleare, il frutto più sbagliato dell’ingegno umano, è questo, inutile raccontarsi favole.

Al di là di questa cortina d’acciaio c’è un uomo, il cui operato e arbitrio non sono un’autentica sorpresa, ma nessuno si aspettava tanta risolutezza e propensione all’aggressione. Si era a conoscenza della tendenza a sopprimere in patria il diritto alla libertà d’espressione, per la quale in tanti hanno pagato, anche con la vita. Ne cito una per tutti, dato che oggi è la giornata dedicata alla donna: Anna Politkoskaja, grande giornalista (inviata in Cecenia per la Novaja Gazeta), il suo sacrificio era forse il preludio a qualcosa di più serio che fermentava all’interno del Cremlino.

E un altro antefatto c’è stato: la Crimea, annessa alla Russia con la forza delle armi. Ma siamo stati tutti un po’ ciechi, ce lo dicono gli stessi russi. A dirla tutta ce lo ripetevano anche i servizi segreti americani, ma noi li abbiamo creduti allocchi con i soliti pregiudizi.

E tuttavia nessuno si aspettava una simile progressione d’eventi. Non un’invasione in piena regola, non una guerra scatenata con alibi la cui credibilità viene messa in discussione in primis dal popolo russo.

Eppure l’istinto reazionario del leader russo si è manifestato in tutta la sua drammatica realtà. Che seguisse una linea politica affine alla destra europea (ma anche qualcuno in America Latina), dove ha interlocutori e precisi referenti, già si sapeva. Poco male in ogni caso, purché un’ideologia rientri in un emiciclo costituzionale. Non era così.  Che applicasse alla lettera questa smania di verticismo, tramite la soppressione dei diritti più elementari in termini di libertà, beh, questo alcuni mesi fa sarebbe sembrato troppo.

E invece siamo qui a contare i manifestanti russi scaraventati in carcere perché hanno osato esprimere il loro dissenso in piazza sull’aggressione all’Ucraina, a contare le testate giornalistiche indipendenti chiuse perché avevano il vizio di essere irriverenti verso il regime, e di dire troppo. Ergo informare con la verità dei fatti il popolo russo su ciò che accade.

Ma siamo anche qui a contare tutti i reporter e il personale addetto alle riprese – nel corso dei servizi trasmessi nei vari stati europei e nel mondo – che sono stati costretti a rientrare nelle rispettive redazioni, perché sarebbe bastato scrivere ‘guerra in Ucraina’, ‘vittime nella guerra in Ucraina’, o qualcosa che si riferisse all’esercito russo impegnato in guerra, per rischiare ben 15 anni di carcere.

C’è bisogno d’altro per parlare di dittatura, della peggiore specie?

E’ una sporca guerra, gli alibi addotti per giustificarla non sono né accettabili né credibili, sono solo pretesti perché in realtà il leader russo mirava ad altro, e non immaginava comunque questi risvolti dopo l’invasione, non aveva tenuto conto dell’indole tenace e ostinata degli ucraini.

Avranno nel loro genoma qualche similitudine con la perseveranza e resistenza dei russi? Un tempo erano una cosa sola, e mister Putin non fa che ripetere, del resto, che la Russia e l’Ucraina sono la stessa cosa. In realtà è un ‘impasto’ che non fa presa, perché i due popoli stavano benissimo separati, e di certo l’Ucraina non ne vuole sapere di buttare giù le sue frontiere.

L’incertezza e il senso d’instabilità corrodono la serenità dell’Europa, e non solo. Nessuno vuole questa guerra, tranne il Cremlino. Al massimo ci sono gli indifferenti, ma questi non scalfiscono la condanna unanime che proviene da ogni angolo del pianeta.

I russi poi, mi sembra chiaro, non c’entrano, loro sono tutt’altro che indifferenti, il problema è che non possono neppure azzardare a dirlo. La Russia è un’altra cosa, è una Nazione bellissima, di civiltà millenaria, ricca di Cultura, Musica, Arte, persone meravigliose. Sono sempre state vittime dell’arrogante e violento di turno.

Lo scrive anche Mikhail Shishkin, romanziere russo, sul quotidiano Guardian:

“Sono russo, Putin sta commettendo crimini mostruosi nel nome del mio popolo, del mio Paese e me. Putin non è la Russia. La Russia è ferita e piena di vergogna per questo. Nel nome della mia Russia e del mio popolo, prego per il perdono degli ucraini. E tuttavia mi rendo conto che nulla di quello che è stato commesso là può essere perdonato.” –  (I’m a Russian. Vladimir Putin is committing monstrous crimes in the name of my people, my country, and me. Putin is not Russia. Russia is hurt and ashamed. In the name of my Russia and my people I beg the Ukrainians’ forgiveness. Yet I realise that nothing being done there can be forgiven).

“La vera Russia è un Paese di musica e letteratura, non quella dei bombardamenti ai bambini. La guerra di Putin causa disgrazia su tutti noi.” –  (The real Russia is a country of literature and music, not the bombardment of children. Putin’s war brings disgrace on us all).

(Mikhail Shishkin – Russian novelist)