“TANGENTOPOLI? LA GUERRA CHE HA STRAVOLTO TUTTA LA MIA VITA”

DI ANTONELLO SETTE

 

 

Bobo Craxi sono passati trenta anni e un giorno dall’arresto di Mario Chiesa. Per me Tangentopoli è, soprattutto, la sequenza orribile di comportamenti disumani. Accolsi al Palatino suo padre, che era ospite dell’Istruttoria di Giuliano Ferrara, reduce dalle monetine sotto l’Hotel Raphael. Non dimenticherò mai il suo volto pallido, al punto da non sembrare lui…

E’ stata una guerra con i suoi morti, i suoi feriti, i suoi vincitori e i suoi vinti.

E’ stata una guerra civile. Quando si tenta di minimizzare, definendo Tangentopoli un’inchiesta normale, già si capisce che nel minimizzare c’è la cattiva fede. Non c’è stato nulla di normale, per quello che avvenne, per il numero dei morti, per il clima che c’era. La mia testimonianza non proviene dalla parte dei vincitori. La mia vita non fu segnata da un’esperienza. La mia vita fu travolta definitivamente. In questi casi si usa il termine orribile di resilienza, che altro non è che la necessità  di sopravvivere. Certo, è umano che uno cerchi di andare comunque avanti, mettendosi i dolori in tasca e facendo i conti con quello che è avvenuto. A distanza di tempo, il livido è sempre lì. Sono arrivato ad avere quasi sessanta anni e, se mi volto indietro, penso che Tangentopoli ha segnato irrimediabilmente la mia vita. Ha segnato la mia vita privata, la mia vita professionale e qualsiasi ambizione avessi potuto avere nella mia vita. Ho avuto una parentesi politica, ma l’animo, con cui mi sono sempre approcciato alla vita, era comunque segnato da questo trauma.

Tangentopoli fu anche imputati eccellenti, abbandonati in carcere e poi suicidi, Sergio Moroni che passa un estate intera a leggere libri sulla scelta suicida, prima di togliersi la vita in autunno nel sottoscala della sua casa alla periferia di Brescia, gli ignobili schiavettoni ai polsi di Enzo Carra, gli arrestati alla sera, liberati prima dell’alba, in cambio di uno straccio di confessione, una riedizione moderna della tortura… Come si è potuto arrivare a tutto questo orrore, senza che si levasse una protesta e con tutta la stampa prona?

Ci fu un effetto domino determinato dalla caduta dei regimi dell’Est. Ci fu, paradossalmente, un principio di emulazione. La fase storica era cambiata e doveva cambiare anche qui. C’era un movimento rivoluzionario che, in qualche modo, giustificava la caduta di un regime politico ed economico. Nel nostro caso, non fu un movimento democratico, ma una sommossa reazionaria. Non ci fu la rivoluzione del popolo, ma quella di una casta. Ci fu la reazione di una casta, quella della magistratura, che faceva parte della borghesia capitalista italiana. La borghesia capitalista era completamente connivente con Tangentopoli ed, essendo proprietaria dei mezzi di informazione, di fatto si alleò e si fuse con l’ondata giudiziaria. E’ evidente che nel tsunami giudiziario italiano non ci fu nulla di spontaneo. La lettura, che se ne fa, è completamente falsa. Era preordinato a tavolino il regime change, che ha riguardato anche alcune altre democrazie in Occidente. Furono indeboliti i Cristiano-Democratici in Germania. Fu affievolita la forza di Mitterand in Francia Furono annientati i socialisti in Spagna, sul piano giudiziario e non su quello elettorale. In Italia la cosa fu più semplice perché ci furono diserzioni all’interno dei principali partiti e poi perché il substrato fascio-comunista non si è mai assorbito. Lo squadrismo del Raphael era figlio di quel fascio-comunismo, a cui lo scrittore Antonio Pennacchi, fratello del mio amico Gianni, ha dedicato e intitolato un libro.

Quale è l’immagine di Tangentopoli che più le è rimasta dentro?

Il terrore. I volti delle perone pieni di paura. Il passaggio da una vita normale a un’altra vita, totalmente anomala. Le telefonate dalle cabine. Gli incontri con le persone di notte. La sensazione di non essere più liberi, ma sotto osservazione. Braccati. Gli insulti quotidiani. Era diventata una vita impossibile.

di Antonello Sette (SprayNews)