MUORE IN CARCERE SAMUELE DI SILVIO. AVEVA SOLO 31 ANNI

DI CLAUDIA SABA

Samuele Di Silvio, 31 anni appena.
Un cognome “pesante” da portare.
Era chiuso nel carcere di sicurezza di Agrigento dove stava scontando una condanna definitiva a undici anni per il processo legato all’inchiesta Alba Pontina.
Insieme a Samuele tutta la famiglia era stata accusata di gravi reati.
Traffico di stupefacenti ed estorsioni con l’aggravante del metodo mafioso.

Un’inchiesta “dura” quella di Alba Pontina.
Soprattutto alla luce di un “sistema” consolidato da anni, tra criminalità e nomi eccellenti sia in ambito politico che imprenditoriale.

La notizia della morte di Samuele Di Silvio, arrivata in città nella serata di ieri, ha provocato una serie di reazioni.
Soprattutto sui social dove si è scatenata una vera e propria campagna di odio contro di lui.
Nemmeno la morte è bastata a chiudere bocche piene di cattiveria.
Nato e cresciuto in una famiglia di criminali, schiavo di un certo tipo di cultura, Samuele aveva scelto per se’ l’unica strada possibile.
Quella che gli era stata insegnata.
Se è vero che i bambini non hanno colpe per il luogo in cui nascono, che colpe ha mai potuto avere Samuele e tanti bambini disgraziati come lui, per esser nato in una famiglia criminale?
Avremmo dovuto scoprirci migliori dopo due anni bui come quelli appena trascorsi,
e invece ci siamo scoperti egoisti, crudeli e disumani verso altri esseri umani come noi, che hanno avuto la sfortuna di nascere nella famiglia sbagliata.
Io lo conoscevo Samuele.
Avrebbe voluto cambiare vita, non seguire orme già scritte da altri per lui.
Ma sapeva che non sarebbe stato semplice farlo, che uscire fuori da un “sistema” criminale che lo aveva asservito sin da bambino, lo avrebbe esposto a pericoli e giudizi da parte della “famiglia”.
Aveva sbagliato e stava pagando in carcere per i suoi errori.
Il carcere dovrebbe servire proprio a questo: rieducare e cercare di riportare nella giusta strada chi ha sbagliato.
Invece in quel carcere, Samuele è morto.
“Arresto cardiaco”, è scritto sul referto medico.

Sara, la sorella, arrestata anche lei nell’ambito della stessa inchiesta, andava a scuola con mia figlia.
Facevano i compiti insieme, la merenda insieme.
E mi aveva colpito molto una sua frase alla fine dell’ultimo anno di scuola elementare.
“Io vorrei continuare a studiare, ma so già che non me lo permetteranno”.
Sara all’epoca, aveva 9 anni.

Non si nasce cattivi ma non si può crescere “sani” in un ambiente criminale e malsano.
Non lo permette il contesto familiare, non lo permette il mondo fuori, la società.

Non giustifico la corruzione, il malaffare, le mafie.
Ma alla fine, chi paga, è sempre chi agisce.
Le “menti” non pagano mai .

Sara adesso è fuori dal carcere e sta cercando di rifarsi una vita.
Partita questa mattina per Agrigento, avrebbe voluto vedere suo fratello per l’ultima volta, riportarne a casa la salma, ma non è stato possibile.
Il corpo di Samuele dovrà rimanere a disposizione delle autorità per gli accertamenti di rito.
E mentre racconta il suo dolore, Sara piange.
La sofferenza appartiene ad ogni essere umano.
Inveire, disprezzare, gioire per la morte di qualcuno … è disumano.