LA “BUONA SCUOLA”

DI EMILIANO RUBBI

 

Quando Matteo Renzi introdusse l’idea di “alternanza scuola – lavoro” era un’altra Italia.
O forse, in realtà, era la stessa Italia, quella che si innamora ciclicamente di ogni imbonitore sulla piazza. La stessa Italia che aveva votato per vent’anni il miliardario di successo, perché di sicuro avrebbe fatto funzionare il Paese bene come le sue aziende. Poi si scoprì che era entrato in politica appunto per cercare di non farle fallire.
La stessa Italia che, qualche anno più tardi, avrebbe votato un food blogger mascherato da poliziotto per difendersi da un’invasione immaginaria.
Con Renzi, invece, era l’Italia che si sentiva “moderna”, progressista, che guardava al futuro. Per questo aveva deciso di votare in massa, alle europee, un ex democristiano. Però era un democristiano che diceva di voler rendere “moderna” la sinistra. E per farlo aveva preso a modello due leader internazionali: Tony Blair (uno che era talmente a sinistra da essere considerato il Bush europeo) e Macron (uno che, coerentemente, si è sempre definito “un uomo di destra”).
In quel periodo, Renzi ci teneva moltissimo a mettere le mani sulla scuola.
Per lui era tipo un chiodo fisso.
Credo che si vedesse come un brillantissimo innovatore che avrebbe dominato la scena politica per molti anni, almeno tanti quanti il suo mentore Silvio.
Quindi mise in piedi quella che chiamò “la buona scuola”.
Che significava che i presidi non sarebbero più stati presidi, ma manager, perché lui era un sacco moderno. E i ragazzi, per avere crediti formativi, avrebbero dovuto passare diverse ore in quella che chiamò, appunto, “alternanza scuola – lavoro”, lavorando per un po’ di tempo gratuitamente in qualche azienda o industria. Questo, teoricamente, per “aiutare i giovani a conoscere da vicino il mondo del lavoro”.
Cosa che piacque molto alla sua fanbase di industrialotti, perché qualche lavoratore in più, specialmente se “aggratis”, non si rifiuta mai. Del resto, l’idea di “scuola” di Renzi, in linea con i suoi modelli politici, non era quella di un istituto che crescesse delle persone, ma dei futuri lavoratori. Non era l’idea di una scuola che formasse degli individui migliori e più consapevoli, quanto piuttosto quella di un laboratorio che producesse quanti più ragazzi possibili vogliosi di andare di corsa a spostare putrelle.
In pratica, come vi potrà confermare un qualsiasi ragazzo che abbia provato questa magnifica esperienza di puro genio renziano, il più delle volte la cosa si risolveva con lo studente messo in un angolo a fare le fotocopie, oppure a svolgere qualche compito ingrato simile.
Tutta roba per cui non serve una preparazione o una formazione, ovviamente, perché nessuno ha mai avuto la minima intenzione di perdere intere giornate a insegnare ad un pugno di ragazzini a fare cose delle quali a nessuno (compresi gli studenti stessi) fregava una mazza. Ogni tanto, però, due braccia in più potevano fare comodo, quindi poteva sempre capitare che un ragazzino non formato e non preparato potesse essere messo a svolgere qualche funzione più “fisica”, per così dire.
È gratis, del resto.
Che fai, non lo usi?
La morte di Lorenzo Parelli ha già dei precisi responsabili.
Sono quelli che, per provvedere a consegnare qualche migliaio di schiavi a tempo determinato alla propria base elettorale, hanno costretto dei ragazzini a fare una cosa che, a loro, non serviva a nulla.
Sono quelli che chiamano “stage” una cosa che “stage” non è.
Uno “stage” si fa una volta terminato un percorso di studi, e lo si fa per specializzarsi in una materia che, in quel momento, si ritiene che possa essere un proprio sbocco professionale.
Uno stage non è mandare un ragazzino che, magari, vuole fare il medico o il giornalista, a fare fotocopie in una ditta di sanitari o a spostare putrelle.
Sono quelli che parlano di “morti sul lavoro” per una cosa che è tutto fuorché un lavoro.
Perché un lavoro, fino a prova contraria, si chiama così perché è retribuito.
Sono quelli che, anche oggi, fingono di non vedere la differenza tra “formazione” e “sfruttamento”. E sono tanti, tantissimi, in questo Parlamento.
“E se credente ora
Che tutto sia come prima
Perché avete votato ancora
La sicurezza, la disciplina
Convinti di allontanare
La paura di cambiare
Verremo ancora alle vostre porte
E grideremo ancora più forte
Per quanto voi vi crediate assolti
Siete per sempre coinvolti
Per quanto voi vi crediate assolti
Siete per sempre coinvolti”
(F. De André)