LA SEMPLIFICAZIONE DELLA BELLEZZA

DI ALESSANDRO VIZZINO

Viviamo, ormai, con le stigmate della semplificazione a ogni costo. Nella vita come nella creatività. La nostra epoca ci insegna che la fama, il successo personale non verso se stessi ma nei confronti dell’esterno, è il primo obiettivo da raggiungere, e nella maniera più facile e diretta possibile. E anche nella musica, come nella narrativa, la semplificazione diventa dunque un dovere, fino a rendere canzoni e libri tutti più o meno uguali a se stessi, in un appiattimento, stilistico e linguistico, che in realtà si trasforma in piattume (spesso pure in pattume, a essere onesti). Così, quella che all’inizio poteva essere una scelta strategica, per quanto scellerata, si è tramutata in un’abitudine, nella normalità delle cose, soprattutto per chi, non avendo i nostri capelli bianchi, nell’era della semplificazione a oltranza è nato ed è cresciuto, e da essa è stato educato a vivere e a confrontarsi. Del resto, se nei primi decenni del secolo scorso una grave piaga sociale era la mancanza di scolarizzazione, oggi la carenza che più si fa avvertire è quella di curiosità e approfondimento; l’assenza di conoscenza, in sostanza, cioè di ciò che separa in maniera netta il nozionismo accademico, spesso plastificato e sterile, con la cultura effettiva del voler sapere. Basta fare un giro su Facebook, lontani dalle nostre conoscenze personali, per capire come l’italiano medio abbia della propria lingua, parlata e scritta, una conoscenza pressoché pari allo zero. Consiglio in particolare i gruppi calcistici, sono un vero spasso (o disastro). E poiché gli impreparati costituiscono oggi la stragrande maggioranza, sono loro a dettare le regole del gioco. Se prima, quindi, era il deculturato a dover avvicinarsi agli altri, a dover mettersi a pari, oggi è il sistema che si prostituisce alla banalità, andandole incontro. D’altronde, se Maometto non va alla montagna… Più sei superficiale, amorfo, scialbo, più sei apprezzato; anzi, cosa assai peggiore, più sei capito. E in questo modo ci avvitiamo un giorno dopo l’altro a fornire sempre più ghiande ai porci, venerandoli tali, non riconoscendo più l’ignoranza come un male sociale ma come la linea da seguire per vendere e riuscire, per ottenere il proprio agognato “successo”. Beh, poiché la natura mi ha dotato di una testa molto dura, io continuerò a insegnare a mio figlio, oltre che a me stesso, che quando dicono di te: “È un po’ troppo complicato” allora è il segno che, oggi, sei forse sulla strada giusta per non essere uguale agli altri, tra fiumi di musica inutile, effimera, e di libri ciclostilati. Però, mi chiedo… torneremo mai a essere anche belli?