DOPO IL VOTO SUL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’

DI ALBERTO BENZONI
Qualche giorno fa , Draghi si è visto bocciata, in Consiglio dei ministri, la proposta di ricorrere a un, peraltro modesto, contributo di solidarietà da parte dei titolari dei redditi più alti per aiutare i più poveri a pagare le bollette.
A contestare apertamente il ruolo del fisco in funzione di una, peraltro estremamente marginale redistribuzione del reddito, non sono stati soltanto gli esponenti di Forza Italia e della Lega ma anche di Italia viva e, dall’opposizione, di Fratelli d’Italia. Il tutto nella convinzione che “stare con i ricchi”, anche in un appuntamento di valore simbolico, sia più conveniente dello “stare con i poveri”. A rigor di logica, e a prescindere da qualsiasi considerazione di merito, la scommessa dei Nostri non dovrebbe essere elettoralmente pagante: dopo tutto i poveri nel nostro paese, secondo i dati dell’Istat, sono circa sei milioni mentre i super ricchi, almeno in base alle loro denunce dei redditi, sono molti, anzi moltissimi di meno.
Ma si dà il caso che il populismo di destra, quello oggi assolutamente dominante, è arrivato a seguire un “senso comune”, alimentato dall’individualismo più sfrenato e dal dominio del Dio denaro: in un mondo in cui il povero può essere soccorso con elargizioni individuali ma senza essere titolare di alcun diritto collettivo; anche perché, diciamocela tutta, se è povero è colpa sua.
Per altro verso, stiamo attenti , il “no” ad una proposta formulata non dalla “sinistra” ma dallo stesso presidente del consiglio fa parte di un disegno politico sempre più preciso: quello di arrivare alle elezioni nel 2022 e con l’attuale legge elettorale. In questo, Salvini e Meloni sono perfetti esponenti di quella che si chiama “democrazia illiberale”; amano le elezioni se e in quanto sono sicuri di vincerle grazie a sistemi elettorali ipermaggioritari, destinati a trasformare maggioranze relative in maggioranze assolute. E, per inciso, con un controllo totale sugli eletti favorito dalla scellerato taglio del numero dei parlamentari.
Nella fantasmagoria qualunquista propalata dalla nostra Giorgia si contrappongono gli italiani ansiosi di votare e i parlamentari ansiosi di prendere i loro “miserabili (ma perché?) vitalizi”.
Balle. Perché, a quanto risulta dai dati delle ultime elezioni amministrative, i sullodati italiani questo bisogno di votare al più presto non lo avvertono proprio. Perché la stragrande maggioranza delle forze politiche sono contrarie. E, infine e soprattutto perché, per una serie di motivi evidenti a tutti, dedicare il 2022 non alla gestione corretta dei fondi europei e alla fuoruscita dalla pandemia, ma alla lotta miserabile di tutti contro tutti sarebbe un vero e proprio delitto.
E, allora, per dissipare una volta questa fantasmagoria qualunquista basterebbe poco. Basterebbe un Pd che collegasse esplicitamente le necessarie intese per l’elezione del presidente a un impegno comune, di cui il presidente eletto sarebbe il garante, a destinare la fine della legislatura non solo alla soluzione delle grandi questioni economiche e sanitarie ma anche alla riforma, condivisa, della legge elettorale e all’introduzione della sfiducia costruttiva.
Ma il Pd sta zitto. E questo è scandaloso. E nessuno lo chiama in causa, contestando il suo silenzio; o, almeno, chiedendogli di motivarlo. E questo, forse, è ancora più scandaloso.