FEBBRAIO 2022, L’ULTIMA OCCASIONE PER SALVARE LA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE


DI ALBERTO BENZONI
Il riserbo con cui il Pd affronta il tema delle elezioni presidenziali (“parliamone; ma a tempo debito”) non è una manifestazione di forza ma di debolezza se non di complessiva impotenza.
Impotenza, in primo luogo, numerica. Perché, a differenza dalle tre elezioni precedenti (1999, 2006, 2013), il partito non ha i numeri per far passare il suo candidato.
Impotenza, in secondo luogo, politica e di immagine. In cui proporre un candidato di bandiera si urterebbe subito con una serie di veti e di tabù. Mentre nessuno degli ipotetici personaggi consolari e “di sintesi” dispone del prestigio necessario per superare esami pregiudizialmente ostili.
Impotenza, ancora, nei confronti della controparte. Il trio Berlusconi- Salvini- Meloni è diviso su tutto. Ma ha ancora in mano tutte le carte. A partire dai sondaggi che vedono il centro-destra oltre il 50%. Per finire con la disponibilità, qui e oggi, di un candidato di bandiera di poco sotto alla maggioranza dei consensi. Risorse che, questa volta, userà sino in fondo per ottenere un presidente di suo gradimento. Aggiungendo, cosa che dovrebbe essere chiara a tutti, che non si può giocare, a questo riguardo, la carta Draghi. Perché averlo alla presidenza della repubblica creerebbe un vuoto a livello di governo, aprendo un’autostrada alle elezioni anticipate.
Impotenza, infine e soprattutto, nei confronti del Parlamento e dei rappresentanti del popolo che ne fanno parte. Parlamento e rappresentanti del popolo che hanno subito, nell’arco di tren’anni, offese, attacchi e umiliazioni di ogni tipo. E quasi sempre senza reagire. Attacchi, offese e umiliazioni giunte a livelli tali da mettere seriamente in discussione l’esistenza di una repubblica fondata sulla democrazia parlamentare. Oggi, però i peones hanno nel voto segreto l’arma ideale per ribellarsi. E, diciamolo subito, in questa circostanza, “ribellarsi è giusto”. Ai “democratici illiberali” la richiesta di votare subito e con questa oscena legge elettorale; agli altri, a noi, di battere un colpo. Per evitare che ciò accada.
Per evitarlo; per tornare ad un minimo di normalità, basta una parola. E questa parola è “proporzionale”. Una specie di “apriti sesamo” che farebbe cadere immediatamente dei muri, aprendo nuovi orizzonti.
Scomponendo un centro-destra tenuto insieme solo da interessi elettorali e di potere. Affidando al verdetto elettorale e alle successive alleanze di governo le scelte del Pd, facendo scomparire i veti reciproci. Obbligando il centro a misurare le sue forze. E liberando la sinistra radicale dal confronto paralizzante tra voto utile e nullismo pregiudiziale. E soprattutto restituendo ai cittadini il diritto di scegliere chi li rappresenta e ai loro rappresentanti la possibilità di svolgere il loro compito liberi dal ricatto dei vertici dei partiti.
Penso, però, che questa parola il Pd non abbia ancora il coraggio di dirla. Perché la sua consolidata viltà politica lo porta ad inchinarsi di fronte ai rimbrotti di dinosauri incattiviti come Prodi o Veltroni se non al primo Mieli di passaggio.
Ma, forse, non avrebbe nemmeno il bisogno di dirla. Basterebbe, e avanzerebbe, tenere fede all’impegno formalmente assunto all’indomani del referendum del 2016 e dello scellerato assenso al taglio dei parlamentari. Quello di una riforma istituzionale anche minima per restituire al sistema l’equilibrio perduto. Dedicando di conseguenza l’ultimo anno della legislatura sarà dedicato alla riforma della legge elettorale e all’introduzione della sfiducia costruttiva.
Non è detto che lo faccia. Ma, se non lo farà, dichiarerà la sua definitiva bancarotta politica; e in cambio del piatto di lenticchie della salvaguardia del suo spazio elettorale e di potere.
Umberto Siniscalchi Claudia Saba Due