ROSARIO LIVATINO, IL “GIUDICE RAGAZZINO”

DI LEONARDO CECCHI
Lo freddarono mentre cercava di mettersi in salvo nei campi.
I mafiosi lo speronarono con la macchina, mandandolo fuori strada. Cercò di fuggire, ma era già ferito ad una spalla e non riuscì a seminarli. Gli spararono nei campi che non aveva ancora 38 anni.
Rosario Livatino, giudice italiano, aveva iniziato a scoprire la cupola della Tangentopoli siciliana, che riguardava politici, imprenditori e ovviamente mafiosi. Ma ancora prima di questo, si era occupato di tangenti, del maxi-processo contro i mafiosi agrigentini e di una grossa inchiesta su fatture false di imprenditori loschi (ben 52 miliardi di lire).
Si era fatto moltissimi nemici facendo il suo dovere. E il 21 settembre 1990 pagò con la vita.
“Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”, diceva. E credibile il giudice Rosario Livatino lo fu di certo. Come uomo, come servitore dello Stato, come persona.
A lui il ricordo di tutti.