LA RIACE DI MIMMO LUCANO, UN ESEMPIO DA SEGUIRE NON DA PERSEGUIRE

DI EMILIANO RUBBI

Mentre, da una parte, un PM chiedeva l’archiviazione per Salvini sul caso Gregoretti, un altro PM invocava 7 anni e 11 mesi di carcere per Mimmo Lucano.

Ironico: evidentemente trattenere in condizioni miserevoli delle persone a bordo di una nave per fare dello sciacallaggio politico sulle loro vite, in Italia, non è considerato un reato, mentre cercare di aiutarle sì.

Sette anni e undici mesi, in un paese dove uno stupratore, in media, va in galera per cinque (quando ci va).

Perché non è Mimmo Lucano, l’obiettivo, sono le sue idee ad andare a processo.
Quella a cui stiamo assistendo è la definitiva consacrazione della criminalizzazione della solidarietà che, da anni, attraversa l’intero arco politico.

Il progressivo tentativo di demolizione del “Sistema Riace” che parte con il PD di Minniti e termina con Salvini, senza soluzione di continuità.
È politica, non giustizia.

In un paese come il nostro è impensabile che accogliere possa anche significare riqualificare e restituire alla vita dei luoghi abbandonati da tutti, in primo luogo dallo Stato.

Riace doveva restare spopolata, deserta.
I suoi nuovi ospiti dovevano “restare a casa loro”, crepando di fame o di guerra, se necessario.
Tutta quella vita portata da Lucano era uno schiaffo in faccia alla narrazione che la politica ci proponeva da anni: i piccoli centri che, ahimè, si spopolano (senza che nessuno abbia mai fatto assolutamente nulla per invertire la tendenza) e gli immigrati criminali, fannulloni e indesiderati.

Lucano viene processato perché è stato in grado di immaginare un modello diverso.
Un modello che funzionava.
Ed è proprio questo che è assolutamente imperdonabile, ai loro occhi.