E SE ANDASSIMO TUTTI IN “MATERNITÀ”?

DI COSTANZA OGNIBENI

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99.000 su 101.000; 98% e ancora 70%. Circola un altro bollettino in Italia, certamente meno grave delle vittime da Covid, ma altrettanto degno di attenzione e foriero di una situazione che andrebbe perpetuamente messa sotto i riflettori: fra le tante diseguaglianze sociali che la pandemia non ha fatto che accentuare, c’è quella delle donne che hanno perso il lavoro. Nel solo mese di Dicembre, erano 101.000 i disoccupati in Italia, dato di per sé già allarmante, ma se si pensa che di questi solo 2.000 erano uomini, c’è da preoccuparsi veramente. Rappresentano il 70% dei totali “licenziati dal Covid”, le donne che si ritrovano ora a combattere con la ricerca di un nuovo impiego o la necessità di stare accanto ai figli in DAD.
“Tanto ci pensano gli uomini, a portare lo stipendio a casa”.
“Poco male, erano loro a portare meno soldi in famiglia, il vero dramma sarebbe stato se a venir meno fosse stata la busta paga più cospicua”.
Circolano fra i benpensanti, le parole che dovrebbero destare sollievo rispetto a questa drammatica situazione, ma ad ascoltarle fanno rabbrividire ancora più dei dati.
Quello di cui si parla ancora poco, è la difficoltà che le stesse stanno riscontrando nel ricollocarsi. C’è la pandemia, certamente, c’è il blocco dei licenziamenti e c’è tutto quello che già sappiamo, ma quando un potenziale datore di lavoro insinua, spesso neanche in modo troppo sottile, domande rispetto all’idea di avere una famiglia, qualsiasi osservazione sull’attuale situazione decade. E questo succede nella migliore delle ipotesi, poiché, volendo essere puntuali, andrebbe ricordato anche il fenomeno delle cosiddette dimissioni in bianco.
E se per le aziende non è proprio possibile ignorare numeri e fatturati, viene spontaneo chiedersi che fine abbia fatto la politica in tutto questo e come mai della proposta di un congedo di paternità si parli ancora così poco.
Sembrano questioni alate rispetto a quello che sta succedendo, tuttavia, se non si fanno quadrare una volta per tutte questi conti e si rimandano continuamente a tempi migliori, quei tempi migliori faranno molta fatica ad arrivare. A dirla tutta, una forma di congedo di paternità in Italia già esiste, peraltro obbligatoria, rispetto a molti altri paesi europei in cui rimane una libera scelta. Ma si parla di dieci giorni! E cosa possono offrire, all’atto pratico, dieci giorni, al di là della gioia di godersi il nuovo arrivato con tutta la calma del caso? Gioia, peraltro, assolutamente da non trascurare, ma volendo mantenere la questione su un piano sociale, un obbligo di congedo di paternità di dieci giorni poco cambia rispetto alla situazione di assoluta disparità.
E se alla nascita di un figlio si pensasse di concedere “tot” mesi di congedo alla madre e, successivamente, fatto l’allattamento, fatto lo svezzamento, concederne altrettanti al padre? Le disparità, almeno rispetto alla questione maternità, si annullerebbero, le donne potrebbero tornare sul loro posto di lavoro tranquillizzate dall’idea che il figlio è ora seguito dal padre; i padri a loro volta si renderebbero conto di cosa voglia dire rapportarsi a un figlio sin dalla più tenera età e sarebbero quasi “costretti” a mettere da parte la loro identità professionale per dedicarsi a un altro mondo, quello degli affetti, altrettanto se non più importante. E i figli, a loro volta, avrebbero modo di rapportarsi sin da piccoli a una figura talora assente.
Forse è una proposta un po’ utopica, forse andrebbe a scardinare equilibri vecchi come il mondo, e proprio per questo costruiti su fondamenta difficili da abbattere.
Ma siamo ancora in piena pandemia, per la maggior parte costretti a casa. E talvolta, sognare un po’ rimane l’unica cosa da fare.