E’ GIUSTIFICATO L’ALLARME SUL RISCHIO INFLAZIONE? E’ FUOCO SOTTO LA CENERE?

DI VIRGINIA MURRU

 

Al momento è l’economia Usa a preoccupare per un aumento del tasso d’inflazione, il rischio lo hanno già messo in rilievo i mercati finanziari. L’osservatorio è puntato sul mercato obbligazionario degli States, che indica un possibile aumento dei tassi d’interesse nel medio periodo.

Qualche sussulto si avverte anche in Italia, ma in realtà nulla di serio. A gennaio scorso l’inflazione italiana ha registrato un aumento di appena 0,2% su base annua, e dello 0,5% su base mensile.

In area euro invece a gennaio ha raggiunto lo 0,9%, da -0,3% di dicembre. Ossia il più forte balzo in un decennio e oltre. Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, ha previsto che nell’anno in corso in Germania supererà il 3%.. In Gran Bretagna dovrebbe invece arrivare al 2%. C’è di che preoccuparsi allora?

Gli investitori nei mercati cominciano a temere un ritorno in grande stile di questo spettro così tanto esorcizzato, per reazione si ricorre al bitcoin, che ultimamente ha raggiunto ragguardevoli performances, considerato comunque un bene rifugio.

Le cause si cercano però negli Usa, e deriverebbero dal debito governativo, ossia i Tresauries, il cui premio è cresciuto proprio per ragioni legate al rischio inflazione.  Non c’è solo il mercato obbligazionario americano a fibrillare, a livello globale preoccupa anche quello azionario e delle materie prime, insomma l’inflazione torna ad essere un’ombra sul fianco che non è facile esorcizzare.

Secondo Mongan Stanley, l’attuale inflazione negli Usa è a 1,5%, ed è destinata ad aumentare a fine anno fino al 2%. Sia pure con moderazione aumenterà nei prossimi anni, per questo l’Investment Bank invita a non sottostimare uno scenario di rialzo del tasso nel dopo Covid.

La Fed, intanto, manterrrà i tassi al livello attuale, c’è timore per l’occupazione, dato che negli Usa nel volgere di pochi anni, 10 milioni di persone hanno perso il lavoro. Anche per questo la Banca Centrale americana non aumenterà i tassi, fino a che il mercato del lavoro non assorbirà i diversi milioni di disoccupati. Joe Biden per stimolare l’economia, ha previsto di immettere nel sistema liquidità per un valore di 1900 mld di dollari. Non tutti gli analisti concordano con una politica di stimoli così forte.

Il presidente della Fed, Jeremy Powell, è ottimista sulla ripresa degli States: “L’Economia tornerà alla normalità già nel 2021, tenendo conto della campagna di vaccinazioni, pertanto i tassi non saliranno. L’inflazione non ci preoccupa.”

I mercati però non ragionano sulla stessa lunghezza d’onda. Nelle ultime settimane si è notato un intensificarsi del sell-off sui bond governativi. E il decennale del Tesoro ha raggiunto l’1,4%, dallo 0,9% di inizio anno.

Il mercato obbligazionario a livello globale si sta avviando nel nuovo anno con premesse non rassicuranti, non succedeva dal 2015. Da un lato vi è l’euforia di un orizzonte che con la campagna di vaccinazioni si schiarisce, e lascia ben sperare nella fine dell’incubo rappresentato dalla pandemia. Si pensa che la crescita economica che ne deriverà aprirà così le porte all’inflazione. Probabilità supportata dal fatto che vi è una massa di liquidità (sul piano monetario) ai massimi storici, mentre le Banche Centrali restano piuttosto caute sull’aumento dei tassi.

I rischi di un aumento dell’inflazione possono essere favoriti proprio da meccanismi che si pensa non facilmente controllabili, allorché si riprenderanno i ritmi normali, e l’economia sarà proiettata verso la crescita (almeno nei paesi più avanzati).

Il fatto è che dopo vent’anni di ‘latitanza’, l’inflazione sembrava essersi eclissata, l’asticella del resto si è sempre mantenuta sotto controllo, anzi ha marciato sotto traccia, e si è per questo ritenuta positiva ogni strategia volta a riportarla verso il tasso ideale, quello, appunto, che assicura la stabilizzazione dei prezzi.

L’inflazione, semplicemente, è il tasso con il quale aumentano i prezzi di beni e servizi in un certo periodo di tempo, e questo importante dato macro produce i suoi effetti nell’economia quando aumenta oltre il limite. ‘Incoraggiare’ il tasso d’inflazione potrebbe essere positivo, sotto alcuni aspetti, per rendere più prospera l’economia di un Paese, ma quando ‘corre’ con balzi troppo forti, può solo essere la spia lampeggiante di un processo distorto.

Come conseguenza più seria potrebbe innescare le premesse per svalutare una divisa, ma può anche indicare che l’economia si contrae e presenta flessioni in diversi importanti settori, come quello industriale (per esempio, ma non solo). In definitiva si dirige verso un clima di recessione. Quando l’inflazione sale, si  riscontra un ribasso del valore del denaro, ovvero del suo potere d’acquisto. Solitamente l’inflazione viene messa in moto dall’aumento della domanda e dei costi, e dalle misure derivanti dalla politica monetaria della Banca Centrale del Paese di riferimento. L’equazione ‘liquidità eccessiva=inflazione assicurata’ è dunque una certezza? Non proprio, almeno fino ad ora.

Per scongiurare l’oscillazione incontrollata dei prezzi, la Bce, con le misure di politica monetaria in Eurozona, ha prestato sempre particolare attenzione al mantenimento del target fisso annuo (intorno al 2%).

Attualmente la situazione è più complessa, perché più ‘contorte’ sono le variabili, pertanto le strategie  e gli interventi ‘correttivi’ fanno i conti con la congiuntura in atto, fortemente condizionata dall’impatto del Covid in ogni settore dell’economia. Le condizioni per un’accelerazione dei prezzi (che determinano poi lo scatto dell’inflazione), in maniera più o meno velata a livello globale si stanno presentando, e tuttavia al momento negli ambienti economici gli esperti parlano solo di lieve situazione di rischio.

In Europa, in particolare in area euro, da anni l’inflazione si è mantenuta al di sotto del target, fissato dalla Bce al di sotto del 2%, e infatti, nonostante la crescita economica degli ultimi anni (pre-Covid), l’inflazione ha seguito un trend più basso di quello ritenuto ideale.

Per scongiurare il ‘contagio’ derivante da un probabile innesco dell’inflazione negli Usa, gli analisti suggeriscono di ‘monitorare con scrupolo le azioni’, tenendosi a distanza di sicurezza dalle obbligazioni.

Il tema inflazione comunque ha sempre allarmato i Governi, ma anche le Banche Centrali e i risparmiatori, questo finché è rimasta ‘in agguato’ a minacciare la stabilità dei prezzi. Da anni il problema è diventato inverso, nel senso che si sono adottate politiche di stimolo per favorire un rialzo dei prezzi, e dunque del tasso di inflazione. In Europa negli ultimi dieci anni, ma anche in Giappone e Usa, è rimasta in stato di latenza, ai minimi storici, e neppure le Banche Centrali, con le loro politiche monetarie espansive hanno risvegliato la tendenza a creare movimento nel mercato.

Insomma, inflazione o non inflazione? Il fatto è che nessuno ha in mano la lampada magica per presentire anche solo quello che accadrà tra un anno, quali scenari economici potranno delinearsi quando la fitta nebbia che ha steso il Covid nell’economia globale potrà dissolversi.

E tuttavia gli analisti, dopo tanti anni in cui si è ritenuto che il problema inflazione fosse ‘over’, si ritrovano nel dilemma, e hanno cominciato a riparlare di un suo aumento moderato, possibile nell’anno in corso. Dopo decenni in cui l’inflazione era diventata quasi l’ultimo pensiero nelle strategie di crescita dell’economia, il suo spettro si ripresenta. Preoccupava negli anni ’70 del Novecento (quando nei paesi sviluppati crebbe ad un ritmo del 10% annuo), ma in seguito non ha più agitato le acque nelle previsioni degli eventi economici più rilevanti.

Quando si incorre nelle condizioni di ‘iperinflazione’, per l’economia è una sorta di tempesta che non è semplice placare, storicamente ha riferimenti nella Repubblica di Weimar, nella Germania dei primi decenni del secolo scorso.

Nemmeno le politiche espansive delle Banche Centrali, come si è osservato, sono state in grado di farla ripartire con sprint, si è anzi parlato del pericolo derivante dal suo fenomeno inverso, ossia la deflazione, quindi valori che vanno sotto lo zero. Ha sempre preoccupato la previsione di un innalzamento del tasso d’inflazione, quando tende a mantenersi basso, permette di formulare previsioni più rassicuranti. In definitiva si potrebbe fare una similitudine con i valori pressori del sangue, meglio che si mantengano bassi, piuttosto che alti, dato che le conseguenze di questi valori potrebbero rivelarsi imprevedibili e pericolose.

E’ l’ottimismo di un ritorno alla normalità entro il 2021, ‘complice’ l’avanzare della campagna di vaccinazioni, a risvegliare il problema dell’inflazione, quale reazione ad un andamento di stagnazione dell’economia, bloccata nella crescita dall’austerity legata alla pandemia, con i suoi inevitabili effetti deflattivi.

Il fatto è che è difficile formulare previsioni su un fenomeno così micidiale, quale questa pandemia si è rivelata. Si procede a vista, perché la nebbia è ancora fitta, ci sono certo le ragioni per l’ottimismo, ma i rivolgimenti sono stati davvero tanti e imprevedibili, oltre che ingestibili. La cautela dunque è d’obbligo.

L’inflazione, in ogni caso, è l’evento più aleatorio tra le incognite dell’economia globale, solo dopo la stagione estiva, secondo analisti ed esperti, si potrà esprimere una valutazione più attendibile sul rischio di una sua ricomparsa, dopo decenni in cui è rimasta come il fuoco sotto la cenere.