AUGURI DOTTORCOSTA, “PATRONO” DEI MOTOCICLISTI

DI MARINO BARTOLETTI

Ottant’anni sono un numero importante. Soprattutto per chi ha dedicato la propria vita per salvare la vita degli altri.
Premetto che per me Claudio Costa (il Dottorcosta) – non solo è un amico raro, ma è un uomo – e lo dico senza pudore – che incarna qualcosa di molto simile alla santità laica.
Per i pochi che non lo sappiano è il medico che più di quarant’anni fa – quando il pronto soccorso nelle corse motoristiche era una precaria attività per volonterosi barellieri e per preti muniti di olio santo- inventò la prima “clinica mobile”. Che allora sembrava un guizzo di modernità mai visto, ma che poi sarebbe stata sostituita da autentici ospedali viaggianti con tanto di sala operatoria. Grazie a quell’intuizione che la vita andava “salvata sul posto” il Dottorcosta non solo fece fare alla scienza che rappresentava un balzo in avanti di decenni (anche in America furono costretti a copiare il suo “format”), ma soprattutto contese al Creatore decine e decine di piloti per i quali era già stato staccato un biglietto senza ritorno. Andò persino in carcere – in Svezia – per difendere il suo credo e la sua creatura (per “esercizio abusivo dell’attività medica” su denuncia dei colleghi del posto), e il carcere lo rischiò almeno un’altra volta – e in quel caso fece parecchio per… meritarlo – quando “rapì” da un ospedale olandese e imbarcò su una specie di volo pirata due centauri che stavano per essere finiti invece di essere guariti, ma alla fine accadde una specie di miracolo: furono gli stessi protagonisti del motor-circus a dire agli organizzatori “Senza di lui a bordo pista, noi non corriamo più”. E così fu! E così è! Anche adesso che ha lasciato ad altri la propria missione.
Vorrei dire che l’ho visto coi miei occhi fare autentici miracoli (se non altro di intuito e di pragmatismo che si facevano beffa di ogni protocollo): ma a lui la definizione non piacerebbe. Di certo l’ho visto sfinirsi fino all’ultima goccia di energia e spesso di disperazione sul corpo di ragazzi che non voleva far andar via: quasi sempre riuscendoci. Altri, più semplicemente, li ha rimessi sulla moto con le ossa rotte: vedendoli gareggiare e persino vincere contro ogni logica scientifica e probabilmente umana.
Sette anni fa, a Imola, assistetti a qualcosa di quasi trascendentale. In occasione della presentazione di un suo libro, volle raccogliere attorno a sé tutti i piloti che senza il suo amore e senza le sue mani quel giorno non sarebbero mai potuti essere lì. Erano più di venti: e qualcuno certamente mancava. Uno di loro, prendendo la parola, gli disse che per lui non era stato né un fratello, né un secondo padre, ma una seconda autentica madre: perché esattamente come sua madre gli aveva dato la vita.
Assieme alla riconoscenza (smisurata), ha assaporato anche l’ingratitudine. Di certo, quella che prevale di gran lunga (da ogni parte del mondo) è l’ammirazione sconfinata. Eppure baratterebbe tutto per una sola cosa: un sorriso di Alex Zanardi. Che all’altro “giro” fu uno dei suoi capolavori più belli: e per il quale adesso – come fece il centauro Chirone con Prometeo – sarebbe disposto a barattare la propria stessa vita. Il Dottorcosta, credetemi, è così!
Auguri Grande Sognatore!