PALAMARA CI SPIEGA LA FILOSOFIA DEL PARTITO DEI GIUDICI

DI DARIO DIMITRI BUFFA

“Se cerco il martirio? No di certo. Io voglio che sul mio caso venga fuori la verità, non solo la vulgata che la circonda”. E poi: “Se mi sarei mai immaginato di entrare nella commissione Giustizia del Partito Radicale? No di certo, ma adesso ho capito che c’è una cosa che ci ha sempre accomunato: battersi per una cosa giusta”. Luca Palamara – ex magistrato dopo che la casta in toga si è affrettata a radiarlo con un processo disciplinare che si può definire più che sommario, autore insieme al direttore de “Il Giornale”, Alessandro Sallusti, di un libro che è già un bestseller (“Il sistema. Potere, politica affari: storia segreta della magistratura”, ndr) – risponde così alle prime due curiosità che fanno da prologo a questa intervista. Per il resto, come potrete leggere non si tiene le proprie idee per sé a proposito delle scomposte reazioni di quella parte della politica e della magistratura, oggi definita come un partito invincibile che tiene in mano i destini di un’intera nazione, da “Mani pulite” ai nostri giorni.

Qualcuno l’ha etichettata come un pentito. Lei si sente come Tommaso Buscetta, che ha scardinato il sistema Cosa Nostra dall’interno o come Joe Valachi, che venne fatto passare per pazzo prima di venire ucciso? Oppure come una persona che, esercitando il potere, da quello stesso potere è stata poi stritolata?

“Io mi sento come una persona che ha vissuto in un sistema di potere e che ha deciso di raccontarlo. Posso dire che adesso, quando un giornalista mi chiede di registrare l’intervista che mi sta facendo, gli rispondo faccia pure, tanto ci sono abituato”.

Cosa potrebbe scrivere oggi Leonardo Sciascia, ispirandosi alla sua non breve avventura nella magistratura inquirente, associata e consiliare?

“Penso che oggi Sciascia potrebbe in qualche modo rieditare “Il contesto” attualizzandolo a quello che la mia vicenda ha rappresentato”.

Lei sembra essere stato processato e cacciato, mediante un uso esageratamente punitivo del processo disciplinare, per essere stato uno che parla troppo dei colleghi e con i colleghi. Sentendo anche qualche “voce dal sen fuggita” nei vari interventi al Consiglio superiore della magistratura, sembra che l’onta promani soprattutto dai pettegolezzi contenuti in chat e intercettazioni. Forse le viene rimproverato, magari inconsciamente, di aver usato in maniera imprudente e infantile lo smartphone?

“L’articolo 15 della Costituzione, in realtà, garantisce la segretezza delle comunicazioni. Mai mi sarei aspettato che tanto gli incarichi direttivi, quanto le valutazioni di professionalità o i procedimenti disciplinari, venissero basati su una lettura parziale delle mie chat”.

Quale è la concezione esistenziale e filosofica del cosiddetto partito delle procure. O meglio, di alcuni procuratori?

“Non parlerei di concezione filosofica. In realtà, dalla riforma del 2007 il potere del procuratore della Repubblica è aumentato a dismisura. Con la polizia giudiziaria e una stampa di riferimento, nonché con un rapporto privilegiato con il giudice del processo, il “contesto” si è trasformato in una vera centrale di suddetto potere”.

Alcuni magistrati si sentono in missione per conto di Dio?

“Il tema, tanto per rievocare Sciascia, è come evitare che il lavoro del Pubblico ministero, anziché procedere alla ricerca della verità giudiziaria, si trasformi in una missione salvifica”.

E quale è l’espediente auto-assolutorio per applicare una consolidata giurisprudenza e giurisdizione domestica, sia penale verso alcuni referenti politici, sia disciplinare per chi sta dalla parte giusta all’interno di questo sistema autoreferente?

“Tutto passa per la cosiddetta degenerazione del meccanismo correntizio, allorquando scatta un istinto di autoprotezione che, inevitabilmente, finisce per trasformare la magistratura in una casta”.

Quale sarebbe l’obiettivo politico ultimo di chi crede che questo sia il giusto atteggiamento che la magistratura associata, e requirente, deve tenere verso la politica. E, in genere, verso “il resto del mondo”?

“Io direi che in certi momenti storici si è assistito ad una commistione di ruoli, dovuta anche alla debolezza della politica iniziata con la eliminazione dell’autorizzazione a procedere, avvenuta nel 1993. Da quel momento non ci sono state più linee di confine tra l’azione della magistratura e la politica”.

Chi può fare la riforma della giustizia e chi invece, secondo il sistema, sarebbe autorizzato a farla?

“Diciamo che dall’interno della magistratura scatta una sorta di concezione proprietaria della magistratura stessa, si ritiene che si debba procedere ad una auto-riforma che però, nei fatti, alla fine non avviene mai”.

Perché quando si parla dei processi penali, civili e amministrativi il dibattito si incanta nel disco rotto della “velocizzazione” – come se si trattasse di una catena di montaggio automobilistica – e pochi sentono il dovere di porsi il problema anche del raggiungimento di una qualità giuridica impeccabile, secondo i canoni dello Stato di diritto?

“Questo è un altro grande tema. Spesso il problema della qualità dei processi è quasi dimenticato, invece rimane ancora oggi uno dei principi fondamentali, soprattutto quando nell’articolo 111 della Costituzione è stato inserito il principio del giusto processo”.

Cosa è lo Stato di diritto per chi ha portato la magistratura a specchiarsi, volente o nolente, nel libro che lei ha scritto con Sallusti?

“Lo Stato diritto, per rievocare Montesquieu, è lo Stato in cui si realizza un corretto equilibrio tra i poteri dello Stato. Ma spesso la ricerca di questo equilibrio non è facile da realizzare”.

Perché i magistrati al loro interno tendono a non denunciare – anche se donne – abusi sessuali dei superiori? Roba di altri tempi. Temono le donne di subire il calvario che, a suo tempo, hanno subito tante vittime di stupro nei processi dei primi anni Settanta, a cominciare dalle vittime del cosiddetto “massacro del Circeo”?

“La magistratura è un corpo composto da circa 10mila magistrati e riflette le umane debolezze della nostra società, anche quando entrano in campo vicende che attengono alla sfera sessuale”.

C’è un ambiente o una prassi neo-patriarcale?

“È indubbio che ci siano correnti, soprattutto quelle ideologizzate, che tendono ad affermare una sorta di egemonia culturale, dalla quale però le nuove generazioni vogliono in qualche modo liberarsi”.

E il Csm come tratta questo tipo di delicati problemi? Un caso recente non sembra essere stato un esempio di metodo nel condurre l’azione disciplinare… sembra che sia la vittima a rimetterci.

“Nell’attuale sistema il Csm, inevitabilmente, finisce per rimanere imprigionato nel meccanismo delle correnti e non riesce ad avere una sua autonomia decisionale”.

C’è “una luce” al fondo di questo tunnel – che comprende anche la gestione disastrosa delle carceri di cui moltissimi magistrati, a volte persino di sorveglianza, sembrano spesso disinteressarsi – oppure quella luce è solo il treno che sta arrivando sui binari, pronto a investire ogni ostacolo che si pone sulla sua strada?

“Bisogna riconoscere il grande merito dei magistrati di sorveglianza che, con abnegazione e impegno, trattano un argomento delicato come quello della detenzione carceraria. Rappresenta un esempio per tutti coloro che si avvicinano a questo tema”.