IL ROMANZO DI SABATINI ALLA CONQUISTA DEI FRANCESI

DI CLAUDIA SABA

Dopo aver conquistato i lettori italiani con varie edizioni dell’Inganno dell’ippocastano (premio Flaiano 2017) e diversi premi con Primo venne Caino, entrambi usciti per Salani,  Mariano Sabatini ha appena debuttato sul panorama editoriale internazionale con la traduzione, a firma di Marguerite Pozzoli, per i tipi di Actes sud del suo primo romanzo, L’imposture du marronnier destinato ai lettori francofoni. Un passato da autore televisivo al fianco di Luciano Rispoli per Tmc e per la Rai, il Sabatini giornalista – volto televisivo e voce radiofonica – si è scoperto narratore intorno ai quarantacinque anni, dopo aver pubblicato libri di saggistica.

“È stato un approdo abbastanza naturale, la parola è il mio strumento del mestiere e da quasi trent’anni mi consente di mettere insieme il pranzo con la cena e di pagare mutuo e bollette, come si dice. Non avevo romanzi nel cassetto, il primo che ho scritto è stato pubblicato da Salani. La motivazione me l’ha data la contiguità con una scrittrice prolifica e disinvolta come Elda Lanza, la cui pubblicazione a mia volta avevo consigliato a Salani. Starle accanto, condividere la quotidianità del suo lavoro mi ha fatto tornare la voglia di creare storie che avevo dimenticato e così ho potuto fare il salto carpiato”.

Ti viene facile scrivere romanzi?

Per niente. È una fatica immane, non tanto assemblare le parole con i predicati, quello mi viene facile, ma convincermi ogni volta di potercela fare. Quello mi toglie le forze.

E scrivere romanzi gialli è più facile?

Semmai, rispetto alla cosiddetta narrativa-narrativa, è più difficile. Alla qualità della scrittura, per me imprescindibile in ogni genere editoriale, bisogna fare attenzione alla trama che deve essere chirurgica. Ogni dettaglio conta e tutto deve incastrarsi alla perfezione, l’intreccio non deve presentare attrizioni. Artista è solo chi sa fare della soluzione un enigma. Sposo in pieno la frase di Karl Krauss.     

Il protagonista dei tuoi romanzi è Leo Mal inverno, giornalista investigativo. È abbastanza inconsueto.

Appunto l’ho scelto, c’erano troppi marescialli, commissari, ispettori. I giornalisti scarseggiavano e quelli simpatici, privi di dipendenze, non c’erano proprio. Sono molto fiero di aver creato un personaggio che i lettori hanno imparato ad amare e che mi chiedono insistentemente quando tornerà. Spero presto, perché ci sto lavorando.  Ma l’inchiesta che stiamo affrontando insieme è particolarmente complessa.

Fiero anche del cognome Malinverno?

Molto. Il mio vecchio professore di latino Massimo Troiani mi ha spiegato che significa “preferisco l’inverno”, ed è proprio così. Per me e per Malinverno. Vorrei inoltre far notare, se la tua domanda tende a questo, che Malinverno esiste dal 2016, anno della mia prima pubblicazione. È un cognome abbastanza raro. Pertanto, diciamo così,  invito i lettori a diffidare dalle appropriazioni indebite. Ma ovviamente sorrido mentre lo dico.

A proposito di giornalisti e giornalismo. È di queste ore la tua polemica con Vittorio Feltri, ripresa da Dagospia. Amareggiato?

Ma no, mi sono anche divertito. È talmente lampante la scorrettezza del simpatico vecchio Feltri… con lui siamo davvero alle coliche finali. Coliche gassose e spassose. Ha ripreso una mia vecchia intervista, realizzata ben prima che fosse fuori dall’Ordine, e per atto di onanismo giornalistico l’ha ripubblicata su Libero. Ovvero il quotidiano di cui è direttore editoriale, non potendo per varie ragioni esserne direttore responsabile. Una intervista a lui, sul suo stesso giornale! A parte l’irritualità, ha omesso di dire però che l’intervista era tratta dal mio libro Ci metto la firma! La gavetta dei giornalisti famosi del 2009, ampiamente citato nel Meridiano Mondadori sul giornalismo italiano, ma non da Libero. Non ha avvertito né il sottoscritto né l’editore Aliberti del riutilizzo. E nella sua mentalità padronale, Feltri ha insinuato che io volessi soldi. Ma dei sui spiccioli non me ne faccio nulla. Ci tenevo a far sapere che sono un giornalista libero, non di Libero.

Ma ha dichiarato che ti stima.

Grazie, ma la stima di uno che stenta a comprendere norme di educazione prima che deontologiche basilari la lascio al commento di Leo Malinverno. Estiqaatsi.  

Tornando al romanzo, arrivare a un bacino di lettori tanto più ampio com’è il mercato francese ti emoziona?

Non mi emoziono mai, questo mi dispiace. Quando sono andato a ritirare il premio Flaiano, davanti a migliaia di persone nella piazza di Pescara, a un certo punto mi sono girato per capire se applaudissero me. Sono elettrizzato, questo sì, l’emozione non mi coglie, se non per istanti fugaci. Ma se penso che Malinverno, Viola Ornaghi, Ascanio Restelli e la mia Roma saranno letti e magari amati oltralpe vengo attraversato da onde di gioia. La gioia va riscoperta, la felicità è la chimera degli illusi”.