LE ELEZIONI CHE NESSUNO VUOLE MA VERSO CUI TUTTI CORRONO

DI ALBERTO EVANGELISTI

In questa crisi, inizialmente prevista da tutti come pilotata ma che man mano che trascorrono le ore sembra sempre più al buoi, l’ipotesi elettorale prende piede in maniera concreta.

Ad eccezione di parte dell’opposizione, ossia Giorgia Meloni e parte delle Lega, le elezioni sono viste da tutti come lo scenario peggiore.

Lo sono, ovviamente, per l’attuale maggioranza che vedrebbe con ogni probabilità pesantemente sconfitta da un ritorno alle urne anticipato e che vedrebbe in un colpo solo pregiudicata, tanto la possibilità di incidere sull’utilizzo del Recovery Plan, che in quella di gestire le prossime elezioni del Presidente della Repubblica. Il discorso a valenza politica, vale in maniera esponenzialmente maggiore se lo si affronta dal punti di vista dei singoli parlamentari dell’area che, a causa del combinato fra riforma costituzionale che ha portato la riduzione dei parlamentari e perdita di consensi, vedono in gran numero come un mero miraggio la possibilità di una rielezione.

Lo scenario elettorale è il peggiore anche per l’attore principale di questa crisi, Matteo Renzi, che ha puntato tutto sul fatto che la legislatura, in un modo o nell’altro, sarebbe andata avanti.

Paradossalmente le elezioni non sono lo scenario prediletto nemmeno per parte della Lega, quella vicina a Giorgetti, consapevole che nei prossimi anni saranno fondamentali i rapporti con quell’Europa dai cui fondi dipenderemo a doppio filo e che, ad oggi, Matteo Salvini è assolutamente indigeribile in quel contesto. Giorgetti, che nel panorama leghista è senza dubbio il politico più attento alla analisi degli scenari, teme che un governo Salvini Meloni, alleato alla destra antieuropea, finirà per venire ostracizzato in sede internazionale, a maggior ragione considerando l’esito delle elezioni americane.

Se in definitiva le elezioni sono sgradite ai più, perché l’ipotesi inizia ad avere una certa concretezza? Perché le dichiarazioni muscolari di queste ore, fatte da tutti gli attori principali della crisi, rendono oggettivamente difficile una ricomposizione.

Conte, ormai apertamente indisponibile ad aprire un tavolo negoziale con Renzi, lascia come unica alternativa per una sua terza esperienza a Palazzo Chigi, esclusivamente l’arrivo di qualche puntello di responsabili a sostegno, ipotesi però non particolarmente apprezzata dal Quirinale.

I 5 Stelle, ad ora aggrappati a Conte come unica figura spendibile per un eventuale nuovo Governo, limitano l’area di manovra, escludendo la possibilità di sostenere un governo, anche sostanzialmente sorretto da una maggioranza analoga ma con un diverso premier.

Il PD, perennemente in bilico  fra l’istinto di uccidere politicamente Renzi una volta per tutte e disfarsi di Conte che sta diventando un competitor scomodo in chiave elettorale, è diviso fra pontieri e oltranzisti.

In sostanza, il gioco di veti incrociati, via via sempre più radicati, usato come una sfida personale fra politici più propensi a dimostrare la loro forza, come in una assurda gara a chi sterza più tardi per evitare il frontale e che certamente tutto stanno dimostrando, tranne senso delle istituzioni, rischia di portare all’impossibilità di formare una maggioranza, nuova o vecchia che sia, lasciando come unico scenario percorribile quello delle elezioni.

Se così fosse, la finestra ultima è quella di giugno-luglio, dopo di che l’inizio del semestre bianco, impedirebbe lo scioglimento anticipato delle camere da parte del presidente della Repubblica.

In questo caso, un eventuale Conte sfiduciato, difficilmente potrebbe essere incaricato di portare avanti un governo di scopo che traghetti alle elezioni; più probabile una ipotesi di Governo istituzionale, un Cottarelli tanto per fare un nime spendibile per ogni stagione, a cui affidare il piano recovery, da presentare inderogabilmente entro aprile, e lasciare pochi altri compiti specifici.

Per ora Conte prende tempo, e dice la crisi non verrà portata in Parlamento prima della prossima settimana, tempo utile per portare avanti lo scostamento di bilancio, ma anche per cercare i famosi responsabili. Ammesso che, in una situazione del genere, con crisi aperta nei fatti, sia possibile rimandare così tanto il confronto parlamentare.

Certo, l’dea di subire una campagna elettorale, aspra come mai, nel mezzo delle scelte sul recovery plan e del piano vaccinale, con il termine del divieto di licenziare (per ora previsto a marzo), potrebbe essere un incubo per chiunque non particolarmente legato a pratiche masochiste, evidentemente però al peggio non c’è fine.