MORTO NICOLETTI “IL SECCO”, CASSIERE DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

DI EMILIO RADICE

E’ morto Enrico Nicoletti e mi dispiace. Molte volte mi ero detto che avrei voluto andare a trovarlo. Sapevo che era malato ed era un uomo che a me non ha mai fatto del male. Avrebbe potuto, credo. Io su di lui ho scritto molto, spesse volte per primo. Sicuramente l’ho fatto arrabbiare. Ma sono stato leale e lui me lo riconosciuto. Non mi bastava sentire cosa ne dicevano poliziotti, carabinieri e magistrati. Io lo andavo a trovare. Suonavo alla sua porta. E poi non erano tutte carezze. Perché i fratelli Cason sono stati ammazzati a rivoltellate su una macchina intestata a te? Perché hai regalato una pizzeria a Renatino de Pedis? Come hai fatto a comprare la casa generalizia dei boyscout dal vicariato di Roma? (quella che poi gli è stata confiscata ed è oggi la Casa del Jazz, per capirci). Perché i preti sono stati così benevoli con te? E perché, perché, perché…. Lui qualcosa me lo ha anche risposto, salvo che poi mi negava di averlo mai fatto. E dunque io pur sapendo non potevo scrivere niente. Come ad esempio chi prese i soldi sulla costruzione dell’Università di Tor Vergata. Me lo dissero, non tanto lui ma il figlio Antonio, un giorno, anni dopo il “caso”. “Sai, quando scrivevi dell’Università tanti anni fa avevi fatto centro pieno. Bravo!”. Cioè? “Cioè c’erano dentro tutti, ma proprio tutti, ma mica te lo potevamo dire no? Gli affari sono affari”. E me lo confermate ora? “Noi? E chi ti conosce, noi non ti diciamo niente. Che ti abbiamo detto qualcosa? Niente abbiamo detto, hai capito male”. Vabbè, Nicoletti era così. Era anche il tipo che se gli telefonavi riempiva di insulti la cornetta, non per te ma per il maresciallo X o il magistrato Y: “Quella zoccola della moglie di X, quel rotto in culo di Y….”. La prima volta gli chiesi: ma perché questa sfilza di insulti? Lui: “Scusa, tu non c’entri nulla, ma siccome ho il telefono sotto controllo e mi registrano così mi tolgo la soddisfazione di mandarli affanculo”. Ah ecco… Ma occhio, non era un amico. Ripeto, era uno che non mi ha mai fatto del male, ma era esempio di quanto di peggio avesse Roma. Non dimenticherò mai l’effetto di quando mi offrì del denaro, molto denaro, per smetterla di scrivere di lui. Fu una sensazione violenta, primo perché mi confermava che ne scrivevo a ragione (altrimenti non ci sarebbe stato motivo per corrompermi), secondo perché la corruzione ha un suo terribile fascino. Difficile spiegarlo…. forse lo potrei fare solo richiamando l’inconfessabile che uno può dirsi in occasione della morte di un parente caro, quando ti tocca il calcolo, il pensiero del vantaggio. Cose da scacciare con vergogna. Ecco la corruzione ti affascina con la prospettiva di un beneficio in cambio della morte di una parte di te stesso. Ed è una scelta di vita irreversibile. E’ questo il Male diffuso che tanti danni ha fatto e farà ancora al nostro mondo. Enrico Nicoletti ha avuto il merito di avermelo fatto conoscere. E siccome io l’ho rifiutato, cioè ho respinto la sua tentazione, credo che mi abbia stimato, forse mi abbia anche voluto bene, perché – azzardo – lui era un giocatore con i giocatori, un cattivo in mezzo ai cattivi, uno spietato fra gli spietati, ma sapeva rispettare uno che davvero fosse onesto. “Avrei potuto farti massacrare….ma sei un uomo”. E questo poi gli apriva il cuore a ingenuità pazzesche, impensabili per uno come lui. Racconto un episodio fra tutti. Quando venne arrestato per favoreggiamento di Ciro Maresca, camorrista super ricercato, lui – poi messo a piede libero – per un’ora mi stette a dire che stava insieme a Maresca per caso, che non lo conosceva, che non c’entrava nulla. Poi a un certo punto sbottò: “E poi non è vero che fosse ricercato!”, e tirò fuori da un cassetto un documento che diceva che Ciro Maresca era stato rimesso in libertà. Gli chiesi: scusa, questo foglio chi te lo ha dato? “Me lo ha dato Ciro, chi me lo doveva dare?”. Ah, ecco, non lo conoscevi per niente… Furbo, furbo, furbissimo, occhi saettanti. E con un suo orgoglio. Quando venne celebrato il primo processo alla Banda della Magliana e lui era un imputato gli seccava essere considerato uno dei tanti. “Che ho a che fare io con questi cialtroni….”. E poi gli seccava essere chiamato “cassiere della banda”. Nell’aula bunker del Foro Italico sedetti accanto a lui e gli feci: “Nicoletti ti ho capito: tu non sei il cassiere di nessuno. Tu sei uno che usa il denaro e lo investe. Poi da dove venga non ti interessa. Che sia il frutto di rapine, di sequestri di persona, di ricatti o di strozzinaggio a te va bene, Magliana o non Magliana lo prendi e sai investirlo”. Lui mi guardò con occhi luminosi: “Finalmente uno che mi ha capito!”. Ecco chi era Enrico Nicoletti. Infine una scenetta da teatrino. Quando uscì il film “Romanzo criminale” d’accordo col direttore Ezio Mauro andai da Nicoletti e gli proposi di vedere il film insieme, per poi farne un pezzo. Lui lì per lì rifiutò: “Che cazzo c’entro io?”. Io: tu sei nella storia. “Ah sì, e chi sarei?”. Io: sei “er Secco”. Nicoletti. “Mica so’ secco…”. Io: se non ti offendi ti leggo una riga del libro da cui è stato tratto il film; ecco, dice “quella palla di grasso del Secco”. Nicoletti: “Brutto infame, fuijo de na mi…, rotto in cu…. Palla di grasso a me? Io je faccio questo e quello a sto gran cornuto…” ecc. ecc. Poi ne uscì un gran bell’articolo che, però, non venne pubblicato. Nicoletti in serata mi chiamò per dirmi: “Siccome sono agli arresti domiciliari non ti potevo fare entrare in casa. Se esce qualcosa sul giornale mi riportano a Rebibbia ed è colpa tua”. Bloccai tutto all’ultimo momento. No, con Enrico Nicoletti non era il caso di scherzare.