I NUMERI DEL CORONAVIRUS, INTERVISTA ALL’INFETTIVOLOGO ZONA

DI ELISA BENZONI



“I numeri sul coronavirus hanno cominciato ad avere senso da luglio. Da allora hanno cominciato ad essere più ‘puliti’ ed è possibile fare ragionamenti su qualcosa che è più accurato, reale. Ora è possibile fare confronti sui numeri delle regioni, dai ricoveri, alla permanenza domiciliare, ai nuovi casi”. A dircelo è Stefano Zona, infettivologo e componente del comitato scientifico di IoVaccino.

Bene, dunque adesso ha senso prenderli in considerazione, e allora perché le percentuali dei ricoverati rispetto all’isolamento domiciliare sono così diverse da regione a regione? E di tanto. All’inizio potevo aspettarmi che in Lombardia non si ricoverasse magari perché non si poteva; ma ora, a tendere, quelle percentuali sul totale dei positivi dovrebbero essere le medesime o quantomeno simili, o no?

“Non è detto, perché evidentemente le politiche territoriali sanitarie non sono le stesse. Faccio un esempio. In Emilia Romagna abbiamo ricoverato abbastanza poco dopo la prima ondata e non perché non ce ne fosse la possibilità, ma perché abbiamo un modello che ha sempre valorizzato la medicina territoriale. Il sistema ci ha consentito quindi l’assistenza a livello domiciliare. Così non è affatto scontato che le percentuali di ricoveri siano le stesse. Evidentemente nel Lazio hanno procedure che portano a ricoverare di più. Insomma non è il virus ad essere più cattivo, è diverso il modo di affrontarlo”.

Difficile arrendersi al fatto che essere malati in una regione è diverso che essere malati in un’altra, al di là del ricovero e del caso specifico. Dimentico sempre che abbiamo 20 sistemi sanitari…

“Anche il modello di ricorso ai tamponi è diverso, a partire dalla possibilità di fare tamponi privatamente, fino ad arrivare alle modalità e alla casistica che ti fa accedere al test. Faccio un esempio. In Emilia Romagna abbiamo deciso di non dare seguito al reinserimento del certificato scolastico. Lo abbiamo eliminato nel 2015 e abbiamo oggi confermato quella scelta. Questo proprio con l’obiettivo di evitare il ricorso al tampone, in questa fase, solo su criterio clinico, ma utilizzando il criterio epidemiologico. Altre regioni non hanno fatto la stessa scelta. E questo vuol dire rischiare di congestionare il sistema dei laboratori. Se ho bisogno di un certificato per testimoniare che non ho avuto il Covid, il pediatra dovrà necessariamente fare ricorso al tampone, o quantomeno sarà oggettivamente spinto a farlo. E sono tamponi che si ‘sprecano’, quando magari un pediatra è in grado di valutare di caso in caso in base ai sintomi e soprattutto alle storie dei pazienti e dei loro contatti stretti”.

Ma comunque dovremo aumentarli questi tamponi per arrivare, come dice Crisanti, a 300 mila tamponi giornalieri?

“Più tamponi fai e meglio gestisci l’epidemia, questo è incontrovertibile. Ma bisogna partire dalla realtà con la consapevolezza che, per aumentarli di numero, devo incrementare anche: macchinari per le analisi degli stessi, personale dedicato specializzato, strutture, velocità diagnostica. E la strada è quella dei tamponi rapidi che consentano di fare un primo screening e poi, semmai, indirizzare al tampone vero e proprio per la conferma. Questa è la strada, e la sperimentazione del monitoraggio delle scuole è un’ottima cosa (quella avviata nel Lazio, ndr). Poi occorre fare tanto contact tracing, perché è la base del criterio di contenimento epidemiologico. E il nostro sistema di tracciamento sembra essere valido e funzionare, al momento”.

Ma allora qual è il numero che dobbiamo prendere in considerazione? Non i morti perché è un dato che è soggetto a molte variabili. Non le terapie intensive e i ricoveri perché è il frutto di scelte politiche sanitarie regionali. Non i nuovi casi in relazione ai tamponi…

“La statistica che a mio avviso ha più senso, in questo momento dell’epidemia, è quello dell’ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie). Il numero prende in considerazione i nuovi casi ogni 100 mila abitanti. Il dato è settimanale o, ancora meglio bisettimanale. Anche perché ragionare con numeri assoluti e bollettini giornalieri ha veramente poco senso”.

E questo numero cosa dice?

“Dice che siamo in crescita, è vero. Ma dice anche la crescita a livello nazionale non è ancora esponenziale, ma abbastanza lineare. Se riusciamo ad assestarci definitivamente a una crescita stabile nel tempo, senza ‘fiammate’ e con numeri contenuti, avremo tot ricoverati e tot dimessi: come un lavabo che ha una portata dal rubinetto uguale a quella dello scarico. E questa è una situazione che si può gestire.”