CERTIFICATO DI VERGINITÀ E VENERAZIONE DELL’IMENE. FRA MEDICI E GOVERNO FRANCESE È SCONTRO SUL SUO SUPERAMENTO

DI COSTANZA OGNIBENI

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Certificato di verginità e importanza dell’imene. Scontro fra medici e governo francese sul suo superamento

Sono passati circa due decenni da quando in Francia ha preso piede un dibattito che ha come oggetto il corpo femminile; un dibattito del quale ancora non si trova soluzione, e che anzi nel 2021 potrebbe trovare sbocco in una legge che autorizzerebbe le minoranze religiose a ottenere deroghe legali alla legislazione universale.

Sembrerebbe, infatti, che, proprio nella terra delle grandi rivoluzioni, risiedano ancora numerose famiglie, che, in determinate circostanze, come ad esempio alla vigilia di un matrimonio, richiedono il certificato di verginità della donna basato proprio sull’integrità dell’imene.

Lasciando da parte l’inattendibilità di un siffatto documento – l’imene spesso si lacera anche solo indossando assorbenti interni o praticando determinate attività sportive, per non parlare delle donne che nemmeno lo possiedono – quello che ovviamente desta scalpore è che nell’era delle grandi tecnologie e nel civilizzato mondo occidentale, si senta ancora, da qualche parte, la necessità di ricevere un attestato di questo tipo, che rivela, tra le righe, l’orgoglio della deflorazione della vergine, il primato del primo, il sangue fra le lenzuola sbandierato a mo’ di trofeo.

Era inevitabile che le forze progressiste facessero sentire la loro voce, condannando di santa ragione una pratica barbara e psicologicamente invasiva, ma quello che stupisce e per cui si è tornati a parlare dell’annosa questione, è che quelle stesse forze progressiste sembrano aver recentemente fatto retromarcia rispetto alle loro posizioni, o quantomeno tirato il freno a mano, ammorbidendo le loro considerazioni, e indorando l’amara pillola, come testimonia una lettera comparsa recentemente su Libération scritta da un gruppo di donne e uomini operanti nel campo medico, tra cui la presidente del Collettivo contro lo stupro e il presidente di Ginecologi senza frontiere:

“Si tratta certamente di una pratica barbara, retrograda e sessista e in un mondo ideale bisognerebbe rifiutarsi di rilasciare un documento del genere. Ma nel mondo reale penalizzarne la redazione è un controsenso. Possiamo essere portati a fornire un certificato di verginità se la giovane ha bisogno di un documento che attesti che è vergine perché si smetta di tormentarla, per salvarle la vita, per proteggerla se è indebolita, vulnerabile o minacciata nella sua integrità o dignità”.

Insomma, ancora una volta si ricorre a una pavida accettazione dello status quo che finirà per non scomodare nessuno se non, nuovamente, il corpo delle donne e le idee a esso legate. Anziché levare gli scudi e scontrarsi contro coloro che le “indeboliscono, rendono vulnerabili o ne minacciano l’integrità e dignità”, si dà per assodato che la realtà sia questa e si trova la via più inetta per risolvere la questione; una soluzione degna del migliore dei moderni Don Abbondio.

Una passività che lascia intendere che un imene più o meno intatto porta con sé molti altri significati, che vanno ben oltre il paternalista orgoglio di essere il primo. Il problema, ancora una volta, non è il “nemico”, in questo caso le sporadiche comunità religiose che agiscono secondo un credo distorto e lesivo nei confronti delle donne, quanto, piuttosto, la mancanza di risposta da parte di chi dovrebbe combattere queste piaghe, proporre un superamento. Ma come si fa a proporre un superamento se si tiene fuori dal dibattito il discorso sul desiderio, legato al corpo della donna, e sulla sua perpetua repressione? Come si fa a proporre un superamento senza parlare di quell’irrazionale destinato a rimanere sconosciuto e minaccioso, anche per i più grandi intellettuali di sinistra? Occorrerebbe entrare in un terreno dove le più grandi battaglie di sinistra sono destinate a fallire, fintanto che ai tre sacrosanti principi – liberté égalité e fraternité – non si aggiungerà una ricerca basata sul rapporto uomo-donna, che ne consideri non solo la violenza manifesta, ma anche e soprattutto quella sottile violenza invisibile che mina progressivamente la vitalità delle donne, rendendole prostrate, succubi, incapaci di ribellarsi, quando non addirittura complici di quel pensiero che le nega continuamente, trasformandole in oggetti, quando non in esseri inferiori, da tenere continuamente a bada e prive di ogni forma di autonomia.

(Foto di medium photoclub da Pexels)