QUELLO STRANO VIAGGIO IN TRENO CON LUCIO BATTISTI

DI UMBERTO SINISCALCHI

Non era più lo stesso, quella mattina di febbraio 1993. Lucio Battisti era un cinquantenne imbolsito, aveva meno capelli e si nascondeva dietro un paio di occhiali scuri.
Lo notai salire sull’Eurostar diretto a Milano. Dovevo prenderlo anch’io, enorme fu la mia sorpresa quando scoprii che avevamo le poltrone vicine.
Sapevo che non avrei potuto parlargli di musica, così, dopo essermi presentato (lui fece altrettanto), presi uno dei quattro giornali che avevo con me e mi misi a leggere.
Ogni tanto l’occhio mi andava su di lui, per me un mito, una parte importante della colonna sonora della mia vita. Lui, inaspettatamente, ruppe il ghiaccio e mi disse: “Mi fai leggere Repubblica?”.
Come no, così partì una conversazione su Tangentopoli. “Che ne pensi?, mi chiese. Io risposi con sincerità. “Un’occasione perduta. Guarda i suicidi, gli affari fermi, non fa bene all’Italia”. “Hai ragione”, mi rispose Lucio. “Peccato però. E quando gli ricapita?”.
Già. Il treno andava e noi parlavamo di tutto, fuorché di musica.
Era un interlocutore curioso, Lucio, curioso ed informato. “Non ci voleva proprio ora”, mi disse ancora. “Della corruzione sapevamo tutti, speriamo che serva a qualcosa…”.
Non servì, anzi fece esplodere il populismo, pazienza. Poi Lucio volle leggere il quotidiano sportivo. “Lo sai che lo chiamano il corriere di Trigoria?”. “Certo, ma le notizie sulla Lazio ci sono”. “Sempre poche”, ribatté lui. “Io sono della Lazio”. “Io no, ma non sono accanito”.
Parla che ti riparla, il treno arrivò puntuale a Milano. “Grazie Umberto”, fu il suo saluto. “So che sai chi io sia, e non mi hai fatto neppure una domanda”. “Perché, mi avresti risposto?”. “No, ma ho apprezzato la tua discrezione. Se vuoi, una domanda puoi farmela”.
Presi il coraggio a due mani e mi ascoltai chiedere: “Lucio, lo farai mai un disco come una volta?”. “No, ormai non mi va più. Ciao”.
Infatti l’anno dopo uscì “Hegel”, il suo ultimo album, il meno venduto. Ma a me bastava così. Il mito aveva parlato. E io avevo avuto le mie “emozioni”. Nemmeno un autografo gli avevo chiesto…