LA SOLITUDINE DEI COMPLOTTISTI

DI EMILIANO RUBBI

Comunicare con i complottisti è praticamente impossibile, facciamocene una ragione.

Un po’ come cercare di spiegargli che non esiste un complotto pedosatanista guidato dai Clinton, dal Papa, da Bill Gates, Tom Hanks e Lady Gaga, oppure che il 5G non serve ad attivare i microchip che ci iniettano facendoci i tamponi per il Covid-19 per poi controllarci tutti.

Metteteci una pietra sopra: non si può fare.
Potete essere i più abili e pazienti oratori del mondo, potete essere un Premio Nobel per la medicina, ma non riuscirete mai a convincerli del fatto che l’opinione dalla comunità scientifica internazionale non valga quanto quella di mamminainformata86.

Vi risponderanno sempre che loro “dubitano”, che non fanno altro che mettere in dubbio le verità che il “deep state” vuole imporci.
Per questo, se gli fai notare che le loro sono delle semplici e comunissime idiozie, ti danno del “fascista”.
Ogni opposizione razionale diventa istantaneamente inutile, in pratica.

Ma quali sono le cause che portano il nostro compagno di banco delle elementari, la nostra ex o il vicino di casa a convincersi, improvvisamente, che Bill Gates sia interessato a renderli degli automi al suo servizio, tanto da andare su internet (usando un sistema operativo che lui stesso gli ha venduto) a urlare ai quattro venti che hanno scoperto la sua macchinazione?

Allora, partiamo da un assunto: il complottista medio non si sente tale.
È convinto di essere un “risvegliato”.
È convinto di aver scoperto quali sono i famosi “segreti che ci stanno nascondendo” leggendoli su un sito web, su un blog o in un gruppo Facebook.
Il deep state è in grado di controllare le menti con i microchip attivati dal 5g, ma non è in grado tenere nascosti i propri segreti a un gruppo Facebook di mamme informate, in pratica.

Ma quali sono i tratti distintivi che vanno a connotare questa nuova ondata di complottisti che, in ambito internazionale, sta facendo parlare sempre più di sé?
Quali sono i tratti comuni al complottista medio?
È da un po’ che me lo chiedo, e ormai sono diversi mesi che cerco di darmi delle spiegazioni.

Vi elenco cinque dei punti che sono riuscito ad individuare per ora.

1) La solitudine.

Il complottista, spesso, ricerca nell’appartenenza a un gruppo (solitamente virtuale) una complicità, un senso di “comunità” e una “vicinanza” che, nella vita reale, gli sono venute a mancare.
E il fatto che tutti i membri di un qualsiasi gruppo complottista condividano idee e “scoperte” che “gli altri” (i non risvegliati) ignorano o addirittura dileggiano, contribuisce a rendere più saldi i legami “emotivi” all’interno di quel particolare gruppo di persone (che spesso neanche si conoscono).

2) La sfiducia nella società e, ovviamente, nella politica.

Non si tratta di una critica al modello sociale, ma di un odio irrazionale che porta ad incolpare dei propri problemi e fallimenti qualcuno così “in alto” e così “nascosto” (da Soros a Big Pharma, passando per gli “Illuminati”) da non essere mai davvero raggiungibile.
La società è malata perché è segretamente controllata da un potere malvagio, e il complottista si sente un guerriero contro il sistema.
Solitamente la sua “guerra”, per fortuna, si limita al postare qualche bufala su Facebook, ma quando le paranoie complottiste “scavalcano il mondo virtuale” e finiscono per entrare nella vita reale, i problemi per lui/lei e chi gli sta vicino diventano enormi.

3) Il bisogno di motivazioni. Uno “scopo nella vita”.

Un nemico invincibile e invisibile serve a perpetuare “lo scontro” virtualmente in eterno, cosi il complotto diventa una presenza costante e una parte integrante della propria esistenza. Un vero e proprio motivo per vivere.

4) La necessità di sentirsi “migliori degli altri”.

Spesso, il complottista, è una persona fragile che si è sentita sottovalutata e “messa da parte”.
Le teorie del complotto fanno di loro degli “esseri speciali”, dei “prescelti”.
Così la vita reale cessa di esistere e quella virtuale di “guerrieri della luce” (senz’altro più appagante e coinvolgente) prende il sopravvento.

5) L’incapacità di gestire il flusso di informazioni continuo di internet.

Nella maggior parte dei casi, il complottista è una persona non più giovanissima (eccezion fatta per le mamme antivax, che magari analizzeremo un’altra volta), cresciuta in un mondo dove l’informazione era unicamente “filtrata” dalle tv o dai giornali.
La comunicazione “diretta” del web, per molti di questi soggetti, ha messo sullo stesso piano la notizia controllata e riportata da un organo di informazione “ufficiale” e quella che gli arriva dal blog quellokenntidocono/kennvoglionofartisapere.ez.klpa.harpo.
Qualsiasi notizia letta su internet ha la stessa dignità e la stessa possibilità di essere vera, per molti di loro.

Mi fermo qui, in realtà i punti sarebbero molti di più, ma temo proprio che Facebook non sia il mezzo adatto per sviscerare l’argomento.

La transizione comunicativa ha inesorabilmente cambiato modo di fare politica e di fare informazione.
La verità è che si è rotto qualcosa a monte, direttamente nell’idea che ci eravamo fatti di “progresso”.

La società occidentale ha dato per scontate troppe cose. Prima di tutto che, cambiando radicalmente il mezzo, il messaggio potesse rimanere lo stesso, dimostrando di avere completamente scordato la lezione di McLuhan.

Come reagire?
Come neutralizzare questa deriva?
Anche questa è una domanda che mi sto ponendo da tempo.

Magari ne parleremo più approfonditamente in futuro.